giovedì 25 dicembre 2008

L'isola che c'è


Nelle città del nord l'alba è un momento vago, incerto, da
cogliere tra uno sbadiglio e l'altro. La nebbia poi, la nebbia
dell'autunno la cancella proprio l'alba e il sole potrebbe
essere ovunque: dietro le montagne, defilato all'orizzonte,
o stampato in mezzo al cielo. Oppure sotto i tacchi.
Ma a Jean non importa, il suo sole personale è quello
africano, quello che spunta poderoso da un aurora infilzata
da trilli di uccelli e strilli di scimmie, che solca imperioso il
cielo come un leone la savana e sprofonda sudato la sera
nell'Oceano increspato; il suo sole quotidiano, invece, è
quel semaforo laggiù, quello che lampeggia per il
momento, ma tra qualche minuto, da quella macchina che
è, scatterà come un sergente all'alzabandiera a mettere in
riga ritardi e malumori della città che spegne i lampioni. Un
lavoro a pochi metri da casa, un semaforo a pochi metri dal
sacco a pelo nel quale Jean se ne sta steso, a scrutare le
pareti del buco apertosi chissà come e quando tra i possenti
graniti delle mura asburgiche, una breccia tra le pietre
grigie e squadrate che dà spazio alle sue notti e alle sue
poche cose. Non troppo confortevole, è vero, ma con un
vantaggio mica da scherzo: c'è posto soltanto per lui.
Che non è poco con i tempi che corrono, con gli immigrati
che si affollano nell'archeologia industriale fatiscente o in
scheletri pericolanti di case abbandonate; e le diverse etnie
a combattersi per la conquista di fogne di periferia, a tirarsi
coltellate ed offese feroci, a coagulare o disperdersi
seguendo le sirene di qualche business o sfuggendo quelle
della polizia.
Jean vive lì, insomma, e gli va bene così anche se, di certo,
nessuna delle sue mogli lascerebbe l'Africa per approdare
in quella tana. Ma non importa, tra qualche tempo sarà lui a
raggiungere loro, con l'aiuto di quel semaforo.
Jean è forse l'unico senegalese in tutta la città che lava i
parabrezza delle automobili mentre i suoi conterranei
preferiscono il commercio di accendini, collanine, borse
griffate, elefanti di plastica, cinture di coccodrillo, ombrelli
per la pioggia e creme per il sole; ma lui no, non ama quel
genere. Preferisce mettere a frutto il suo sorriso e quell'aria
da cane bastonato che ispirano tanta tenerezza per rendere
un servizio ai cittadini automobilisti, specialmente quando
nebbia e smog, indissolubilmente uniti in un pulviscolo
grigio come ogni matrimonio che si rispetti, gli danno una
mano. E poi lui c'è portato per quel lavoro, ci mette
impegno ed intelligenza e ne è ripagato tanto che ha
addirittura dei clienti fìssi. Proprio così, ne è convinto:
gente che arriva al semaforo e si guarda attorno smarrita se
non vede il suo sorriso smagliante che si inchina al
finestrino, la spazzola in una mano e la bottiglia di
detersivo nell'altra. I ferri del mestiere, ma non gli unici.
Le sue armi vincenti sono state psicologia ed
organizzazione, caratteristiche più europee che africane a
dir la verità, ma Jean è un tipo che impara in fretta. Ha
capito che se si avvicina alle automobili con fare dignitoso,
senza aggressività ma anche senza sottomissione, e
soprattutto se lavora con puntualità, in orari fìssi e precisi,
come fanno quasi tutti quelli che si fermano al semaforo, si
sarebbe conquistata la loro fiducia. E' diventato un
lavoratore, insomma, come tutti. Anzi, un imprenditore.
Ma ogni impresa, si sa, ha qualche vantaggio e molti rischi
tra i quali, ad esempio, la concorrenza.
Da qualche giorno, infatti, Jean non riesce a lavorare
tranquillo: presenze fugaci, a volte appena accennate ma
fastidiose, comparsate di gentaglia poco raccomandabile
con un tergivetri in mano ed un sorriso beffardo in bocca.
Dilettanti, gente che non ha la pazienza di curare l'orticello,
schegge vaganti di qualche campo di nomadi senza confini
ne territori, fantasmi insomma, destinati a sparire come
brina al sole ma che, comunque, gli guastano l'umore.
Non cerca guai, lui, non si immischia negli affari altrui, non
invade territori occupati: perché non lo lasciano in pace? E'
già così difficile trattare con gli abitanti del luogo, perché
allora rompersi le palle tra pezzenti? Tra persone che hanno
bene o male lo stesso identico problema che si chiama
sopravvivenza?
Puntuale l'occhio giallo smette di lampeggiare ed il rosso si
accende trionfante: si comincia. Jean raccoglie gli attrezzi,
fa pochi passi intirizziti, qualche saltello per dare coraggio
a sangue e muscoli e la giornata ha inizio. Di già al
semaforo freni ancora umidi fischiano o ragliano, motori
ancora freddi tossicchiano fumo bianco, anime ancora stese
sognano la prossima notte, occhi ancora cisposi lo
guardano inespressivi e lui è lì: presente, attivo, allegro.
Tutto il contrario dei suoi clienti che accettano che il vetro
venga pulito e che gli danno qualche spicciolo come
pagassero un vero e proprio pedaggio al nuovo giorno che
nasce esattamente come quello precedente. Può essere
triste, ma anche rassicurante.
Tutto sembra filare liscio per un po', finché..
- Eccolo lì, il bastardo.. - un ragazzetto dalla pelle, gli
occhi e i capelli slavati. Più bianco di un bianco. L'aria
strafottente ed invadente, poi, ingrossano a Jean il fegato e
le vene del collo.
- Eppure gliel'ho fatto capire in mille modi che l'incrocio è
roba mia.. perché non te ne vai? Questo semaforo è appena
sufficiente a far mangiare me, perché dobbiamo fare la
fame in due? La città è grande: piena di strade, di traffico,
di tangenziali, perché proprio qui? E poi, perché quel modo
di fare insolente, da prepotente.. va a finire che mi sputtani
il lavoro di mesi, bastardo! -
Lo zingaro infatti, finché c'è il verde, se ne sta stravaccato
sotto una pianta a girarsi i pollici, al giallo non fa neanche
una piega, al rosso scatta come un assatanato roteando la
spazzola, riempiendo i parabrezza di detersivo e schiuma
senza neppure chiedere il permesso agli automobilisti
ottenendo come risultato qualche monetina ed una valanga
di vaffa. Ma la cosa sorprendente è che sembra proprio
quello lo scopo della sua presenza, un'invasione gratuita,
provocatoria e così inutile da far sorgere il dubbio,
legittimo, che non possa essere nient' altro che un segnale,
esplicito, indirizzato proprio a lui, a Jean. Ma a quale
scopo? Ovvio.
E' ancora verde ma lo zingaro si riaccomoda sotto un
albero sfogliando un fumetto che ha trovato nel cestino
delle immondizie. Guarda goloso le figure, divertito, sapesse
anche leggere.. c'è stato a scuola, qualche mese, ma niente
da fare: troppo occupato a difendersi dagli sguardi dei
benpensanti, dai sussurri delle mamme, dai buoni propositi
degli insegnanti, dalle cattive tentazioni che un mondo
benestante può offrire a due mani abili. Cacciato, insomma.
La qual cosa non ha fatto altro che alzare le sue quotazioni
agli occhi della popolazione del campo ma soprattutto di
Maria, la sposa promessa. Giovane, bella ma, cosa più
importante, la regina dei semafori, colei che annebbia le
coscienze e svuota le resistenze degli automobilisti più di
tutte le altre donne del campo, anche di quelle che si
portano appresso i bambini. Tra un mese sarà sua moglie,
con il consenso delle famiglie, ed il futuro è assicurato.
Ma è il presente che lo annoia. E' vero, al campo gli hanno
spiegato che anche i nomadi hanno territori da difendere,
che già è dura con la calata di tutti quei polacchi dalla testa
di marmo e le spalle un po' troppo larghe per cacciarli
dagli incroci senza lasciare qualche dente sull'asfalto, ma
se adesso ci si mettono pure gli africani, il terzo mondo!, è
la fine. Così l'hanno mandato là, a rompere le uova nel
paniere ad uno stupido negro che ha sbagliato indirizzo, ad
uno sbandato che non ha capito che se qualcuno vuole
sconfinare non può far conto soltanto sulle proprie forze.
Sei forse protetto da un fisico possente, o da un gruppo di
amici dagli occhi taglienti e le mani come badili o, magari,
conti sul passaggio di qualche pantera della polizia che
chiuda un occhio sulla tua attività e addirittura si faccia
lavare il parabrezza senza sborsare un centesimo? Macché,
un solitario magro ed allampanato, dall'aria così afflitta da
far pena, anzi, tenerezza. Ed è quella la sua dote, un'aria da
cane bastonato ma fedele, uno di quei cani che non
abbandonano mai nè il padrone nè la catena; e sono cose
che funzionano da queste parti.
Capace che, alla fine della giornata, lo stupido negro ha in
tasca più moneta di Maria, la sua regina... ma guardalo, è
livido di rabbia, anzi, da nero sta diventando giallo, un
travaso di bile, poco ma sicuro!, e la mattinata è ancora
lunga, le automobili in aumento e la pazienza dell'africano,
diciamo verso mezzogiorno, sarà allo stremo. Quando
l'intruso si arrenderà, lui se tornerà al campo e suo suocero
sarà contento. Maria lo guarderà fiera, sua madre gli
preparerà il pranzo e suo padre gli infilerà in tasca un po' di
denaro. Però, fino a quel momento, che palle.

Jean pensa di aver capito. Continua il lavoro come niente
fosse, il suo sorriso si allarga candido nella nebbia, come il
solito, le sue mani si muovono con la destrezza di sempre,
ma ha capito.
Si concede una pausa, depone la spazzola e si accoccola ai
piedi del semaforo, la schiena appoggiata al palo, le mani
sulle ginocchia. Si guarda le scarpe, mentre le automobili
sfrecciano sfiorando l'isola pedonale che lo protegge, e
pensa all'isola dove è nato e cresciuto e anche là è sempre
stato protetto. Ricorda la sua casa gonfia di fratelli e
sorelle, di zie e di madri, la nonna soprattutto, e il suo volto
misterioso, un labirinto di rughe e di sorrisi; le strade
polverose e gli amici magri e felici, che spuntano dal nulla,
sospinti dal vento che li trasporta ovunque assieme alla
sabbia e alle loro camicie e poi tutti sulla spiaggia, a vedere
se l'oceano è incazzato. O giù in città, in un traffico
disordinato di automobili scalcagnate, dalle carrozzerie che
assomigliano ad animali preistorici un poco acciaccati,
dagli scarichi che sfiatano miasmi biblici e sobbalzano tra
le strade bianche senza bisogno nè di cartelli nè di
semafori; è sufficiente una mano dal finestrino per
cambiare dirczione, arrivare per primi ad un incrocio per
guadagnarsi la precedenza e suonare il clacson, ammesso
che funzioni, è un modo per salutare amici e parenti,
oppure, soltanto una felicità semplice.
E il mercato.
Colori e odori che si inseguono perfidamente tra mosche e
spezie, banane e cocchi, sacchi di riso e carcasse di agnelli,
lumache giganti e pesce secco; tra urla ed insetti ed il
ciabattare di donne che contrattano.
E le notti, con i pochi lampioni umiliati dalla luna piena, a
girovagare in gruppo senza parole, ascoltando la risacca,
giocandosi a dadi i quattro punti cardinali per la fuga che
sarà. Perché da ogni isola che si rispetti tutti sperano di
scappare per poi sognare un dolce ritomo.
Che ne sa quel coglione di là della sua isola? Jean si rialza,
con un dubbio: e se avesse anche lui la sua isola?
"Ma la mia è più bella" pensa, rimettendosi al lavoro.

Lo zingaro ci è rimasto male.
Convinto di essere ad un passo dal successo, dalla resa
totale del nemico, ha addirittura gettato il fumetto, pronto a
ritornarsene al campo.
"Ma come, si è sdraiato a terra, come un cavallo sfiancato..
perdio, avrei dovuto attraversare l'incrocio e tagliargli la
gola, appenderlo al semaforo per le gambe e lasciarlo
dissanguare come una capra..", si guarda attorno, come se
avesse un pubblico che lo ascolta " Certo che ne sono
capace, volete vedere? Volete vedere come uso il coltello?"
ma non c'è un cane a sentirlo e si rimette a sedere. Quel
piccolo sfogo lo ha calmato e riportato alla mente i ricordi
di quando aveva veramente a che fare con capre e cavalli.
Oh, diversi anni prima, è vero, quando il campo era un
accampamento, in un altro paese, ad est. Allora si coabitava
con cani, galline, capre, cavalli; adesso roulottes ed
automobili. Quand'era meglio? Mah, difficile.. certo non si
può viaggiare in autostrada trainati da un cavallo, però
quando suo padre lo caricava sul dorso senza sella e
mollava una pacca sul culo della bestia, lui si aggrappava
alla criniera ed era una sfida con il vento, con l'erba alta
che si apriva come il mare davanti ad una chiglia, con i
rami che frustavano i capelli neri come nerbi di cavalieri
nemici, con i fossi che tagliavano i campi come trappole
per uccelli. Ma lui diventava davvero un uccello, un'aquila
che infila cerchi concentrici sulla preda, un falco che
disperde uno stormo di cornacchie, un colombo che cerca la
strada del ritomo.. un passero spennacchiato, come lo
chiamava suo padre quando lo disarcionava ridendo. Gli
piace pensare a quei tempi, ma non lo ammetterebbe mai a
nessuno, nemmeno a Maria. Certo, c'è una bella differenza
tra allora e oggi, tra un puledro tutto muscoli ed uno
stupido negro più ostinato di un mulo! E se lasciasse
perdere? No, no.. non se lo può permettere. Il clan. Maria,
sua madre.. e suo suocero, chi lo sente poi quello? Non
potendo estrarre un coltello, l'unica strada è armarsi di
pazienza ed aspettare che lui, quell'altro, raccolga spazzola
e detersivo e scompaia all'orizzonte, possibilmente verso
l'equatore.
Lo guarda, guarda la figura scura che ora agita le braccia e
fa dei cenni. A lui? Sì, proprio a lui, lo sta chiamando a
quanto pare. Bene, non è certo tipo da aver paura, infila le
mani in tasca per controllare se il coltello è sempre lì ed
attraversa l'incrocio.
- Che c'è amico, qualcosa non va? -
- Certo, certo che qualcosa non va.. perché sei venuto
in questo posto, non vedi che ci pestiamo i piedi,
che ci danneggiamo a vicenda? -
- Come sarebbe a dire? Il mondo è di tutti ed io sto di
qua e tu di là, mica puoi lavare anche i vetri alle
automobili che vengono dalla mia dirczione.. che
fastidio ti do? -
- E' perché lo fai male, capisci? Non ci si comporta
così da.. da.. maleducati! In questo modo tu
sputtani anche me, il mio lavoro. Se vuoi
guadagnare qualche soldo devi essere gentile, far
capire ai clienti che tu sei disponibile, che sei lì per
loro, per offrire un servizio, devi essere.. educato,
capisci? -
No, lo zingaro non ha capito, soprattutto non crede alle
proprie orecchie: discorsi simili sì, ne ha sentito ancora a
scuola dagli insegnanti, in galera anche, dagli assistenti
sociali, da qualche prete magari, ma da un pezzente di
negro..
- Tu dici a me che sono un maleducato? Mi stai
dicendo questo? -
- Non io amico: i fatti! Quanto hai raccolto finora?
Parolacce, te lo dico io. Guarda.. -
Estrae un pugno di monete, bello pesante, e glielo mostra
- Vedi? Devi fare come me, se vuoi ti insegno.. -
Gli occhi scuri dello zingaro hanno un bagliore subito
spento, e se ci fosse qualcosa da guadagnare?
- Ma la gente ti da ogni giorno tutto quel denaro? E
dove lo tieni? -
- Qui vicino, a casa mia, è ovvio. Vuoi vedere? Vieni,
tanto adesso il traffico cala per un'oretta.. -
Attraversano assieme la strada, scendono per il vallo
pratoso che porta alle mura di granito ed arrivano alla
breccia. Jean mostra orgoglioso la "casa", il sacco a pelo, il
fornelletto per cucinare, le candele per illuminare
Vuoi un the? No? Tu sei giovane, dovresti tenerti
su: bere, mangiare.. e a donne come va? Senti, vuoi
qualcosa per aumentare la tua potenza? Guarda,
vedi questo sacchetto di pelle? C'è polvere di
guaranà, me l'ha data un brasiliano.. è fenomenale,
te lo garantisco! -
Polvere di guaranà, potenza sessuale, intrugli brasiliani, ma
di cosa sta parlando l'imbecille?
- Ma i soldi, dove sono? -
- Eh, non li tengo mica qui, li seppellisco laggiù, nel
prato. Vieni. -
Ritornano sul prato, bianco di brina e sporco di plastica e
cartacce, intricato da erbacce e reticolati divelti, sconnesso
da buche ed avvallamenti fino ad uno spiazzetto sgombro.
Jean raccoglie un vecchio badile arrugginito e comincia a
scavare finché il ferro urta contro il ferro.
- Ecco, hai sentito? -
Lo zingaro stringe il coltello nella tasca ed allunga il collo
verso la buca
- Che cosa c'è? -
II badile si rialza e riabbassa come un lampo, un colpo
secco ad aprire un'anguria, ad affettare un serpente, ad
arpionare un tonno, a squartare lo slancio di un predatore,
ad anticipare il soffio della morte.
Jean continua a scavare, sospirando. "Tranquillo fratello,
non sei il primo, non sarai l'ultimo". Riempie la buca, si
pulisce alla meno peggio, un'occhiata al traffico che scorre
indifferente nella nebbia e risale sulla strada.
Raccoglie gli attrezzi e ritoma al lavoro, al semaforo,
all'isola.
Pedonale.

domenica 13 aprile 2008

intervalli

L’automobile percorre solida e silenziosa le vie del centro affollato. L’uomo alla guida controlla nello specchietto la testa reclinata del ragazzino addormentato, lo sguardo perso nel traffico della moglie e pensa che quella giornata di festa si è risolta come si deve: tranquilla e serena
- Ho freddo -. Il vecchio seduto accanto ha l’aria compunta e composta di chi si trova un poco a disagio su quella poltrona così accogliente, sopra un’automobile così imponente.
- È il condizionatore, papà. Ora alziamo la temperatura. -

Campo di concentramento di Peschiera.
Il ponte della ferrovia è stato bombardato ed i tedeschi lo stanno ripristinando. Con il nostro lavoro, il lavoro di noi prigionieri. È un inverno freddo e brutto, come ogni inverno quando si mangia poco e si lavora troppo. Ma io e Walter stasera ce ne andiamo. Si scappa, si taglia la corda, si ritorna a casa. Sul Po. Un piano semplice, che si attua così: tre prigionieri ogni vagoncino che scarica il materiale di riporto, io e Walter ci aggreghiamo ad uno di questi e poi scivoliamo assieme a sassi e mattoni nel Mincio. In pieno inverno, durante una bufera di neve. Dentro il fiume fino al pilone centrale che risaliamo fin sotto le traversine della ferrovia. E lì ci nascondiamo ed aspettiamo. I vestiti bagnati ed un freddo bestia. I tedeschi fanno la conta e subito si accorgono, danno l’allarme, arrivano le guardie ed i cani che si spandono nella campagna, lontano. E noi lì, a pochi metri, i vestiti bagnati ed un vento bestia. Finchè se ne vanno, “rauss lusch”.
Chissà che cazzo vuol dire, “rauss lusch”, ma è un ordine e così tutti se ne sono andati. La tela delle braghe è rigida di acqua ghiacciata ed è fatica camminare lungo l’argine gelato, a tentoni nell’oscurità tra pietre aguzze e scivolose, la neve che ti assale a ventate dentro il naso e le orecchie e la speranza è un lumicino inutile.
- Walter, Walter, adesso dobbiamo stare attenti agli infami, alle spie.. -
- Ma dove sono, dove sono queste spie? Non vedo niente.. -

Il semaforo è rosso e la fila di automobili brontola impaziente. Il polacco - un uomo alto, biondo, la faccia sgherra e gli occhi azzurri: diciamo un tipo polacco, insomma - gironzola impacciato con la spazzola da lavavetri.
- No, no, lascia stare.. davvero -
Il vecchio fruga nelle tasche ed apre il finestrino
- Come ti chiami? -
- Boris -
- Ah, Boris. Tieni -

Colonnello medico Boris Vattelapesca, prigioniero russo. Tipo simpatico. Gran fumatore di “Africa”, le sigarette che si fumano al campo. Quarantanove sigarette alla settimana, sette al giorno.
Boris ne fuma il doppio, le sue e le mie. Un uomo istruito, che parla quattro lingue e talmente chiaccherone che quando si accorge che perdo il filo, che non lo seguo, continua i suoi pensieri in francese oppure in inglese. Tanto che importa? La mia mente è altrove. La mia mente è altrove perchè lui mi parla del Dniepr ed io penso agli argini del Po, mi racconta dei campi di grano ed io mi ritrovo tra i platani delle Fratte, mi spiega come ingrassare i maiali russi ed il mio stomaco si contorce di crampi al ricordo dei cotechini di mia madre.
- Ascolta Boris, non mi sento tanto bene, fammi una visitina -
La diagnosi è la solita: ulcera, pleurite, colite cronica..
- E si può guarire? Cosa devo fare? -
- Semplice, devi cantare. Quelli del dormitorio C hanno messo in piedi un coro. Va’ da loro e canta. Canta, amico -
- Lo farò, lo farò di certo, ti ringrazio. Ah Boris, tieni - e gli allungo la mia razione settimanale di “Africa”.
Un gesto che non mi è mai costato perchè io non fumo, però quella notte, la notte della fuga, avrei dato tutto per qualcosa di caldo, fosse stata anche una sigaretta. E brace di sigaretta sembra un fioco lume che ci compare davanti. Lontano o vicino? Questa maledetta tempesta di neve non ci permette di capirlo, di capire. Una luce lontana o vicina, amica o nemica: perchè una luce accesa durante una notte di coprifuoco?

- Che dici papà, è stata una buona giornata, vero? Abbiamo mangiato bene in quel ristorante. Cibo buono, genuino, un buon servizio.. -
- Sì, sì.. da fuori sembrava una casa di campagna, una fattoria, ma dentro era proprio un ristorante coi fiocchi. Tutto molto moderno -

È una locanda, una locanda con tanto di fuoco acceso e qualche cliente ubriaco!
- Walter, Walter, che facciamo? Cosa facciamo? -
- Entriamo perdio, entriamo o moriremo. E se qualcuno farà la spia mi metterò col culo sul camino ed aspetterò i tedeschi! -
È vero, c’è una soglia che noi tutti siamo convinti di riuscire a varcare ma pochi, forse nessuno, hanno la forza. Non Walter, nemmeno io. La sete e la fame ti tolgono energie e il corpo si svuota ma il freddo te lo toglie, il corpo. Il cervello comanda ma non c’è articolazione che risponda, che risponda a modo: un ufficiale senza esercito. Dentro la locanda fumi bassi di croste di polenta e bucce d’arancio, un tepore accogliente come un grembo. Entriamo a testa bassa ma con un obiettivo preciso: la stufa di ghisa alta e nera con piedini come zampette di cane ed il lungo camino arrugginito e rovente che si alza verso il soffitto. Nessuno bada a noi, nemmeno l’oste assonnato.
- Da dove venite? - ci chiede una faccia da faina. C’è sempre una faccia da faina che chiede qualcosa a qualcuno.
- Andiamo verso il Po. Vogliamo andare a casa nostra, sul Po -
- C’è l’Adige da attraversare prima del Po e sui ponti rimasti in piedi non si passa, ci sono i tedeschi.. a meno che non lo vogliate passare a nuoto e direi che vi siete già esercitati nel Mincio. Fredda l’acqua in questa stagione, vero? -

Sì, il lambrusco era un poco troppo freddo, gli è rimasto sullo stomaco. Va bevuto a temperatura di cantina, mica di frigorifero.
Ma adesso, oggi, dove stanno le cantine, le cantine come si deve? L’asfalto, quanto asfalto, i capannoni, le case ristrutturate, le automobili, le insegne, i semafori, i lampioni.. è il tramonto e sulla tangenziale fari si accendono ad uno ad uno come un presepe così veloci che subito diventa notte. I nostri tempi cambiano, ma il tempo, il signor tempo, quello di nessuno, quello che non è nostro nè vostro, siamo sicuri che cambi? Il vecchio ha ancora negli occhi la polvere bianca, i paracarri, i cipressi che costeggiavano quella stessa strada così diversa oggi a bordo dell’automobile di suo figlio. Il vecchio ha ancora nelle orecchie quegli ordini abbaiati mentre se ne stava nascosto sotto le traversine del ponte e ricorda le divise dell’esercito nemico ed i suoi cani feroci; ma dopo, nella sua lunga vita, ancora e ancora ci sono stati ordini abbaiati e divise non amiche. E qualche cane incolpevole ma feroce. Perciò il vecchio se ne sta seduto con l’aria serena. Ogni casa, ogni ponte, ogni campo ha una storia da quando lui ne ha il ricordo e se pure sono cambiate le facciate, le arcate, le colture lui ne possiede l’anima. Perchè le conosce da sempre, non c’è niente di nuovo; nulla che lo possa spaventare.
L’automobile entra in uno svincolo, lasciandosi alle spalle le indicazioni per l’aeroporto.

Il campanile batte mezzogiorno ma in campagna non si lascia ancora il lavoro, si aspetta la mezza. E come si fa a sapere quando scocca la mezza? Semplice, arriva lui, l’amico Pippo. I ragazzi si sdraiano all’ombra del carro del fieno ed aspettano con lo sguardo nel cielo e lui arriva, puntuale. Il piccolo aereo spunta basso dall’orizzonte, la carlinga che luccica dietro l’elica, un’arma che si staglia nera controsole e che non spara mai; occhi che osservano, obiettivi che spiano, orecchie che ascoltano e poi l’ala d’argento vira con un urlo pigro ed affaticato. Si allontana per ritornare il giorno dopo, alla mezza, con quel muso da faina.

L’automobile entra nella corte, nel largo piazzale recintato da archi panciuti ed oscuri; rischiarato dalla luna piena, ravvivato dagli odori di terra grassa, molestato da nugoli di zanzare.
A casa finalmente.

Via, via dalla locanda fumosa ed accogliente, calda e traditrice: la faccia di faina è scomparsa ed io e Walter sappiamo benissimo che cosa significa. E allora fuori, nella tormenta, camminando a caso nella notte, seguendo quello che ai nostri piedi gelati sembra una strada.. ma a noi che importa di una strada? Certo, quando abbiamo preparato il nostro piano di fuga avevamo le idee chiare: uno solo il percorso da seguire. quello per la Bassa, quello di casa nostra, quello del ritorno. E adesso? Una via di fuga, soltanto quello, un sentiero appena tracciato ma sconosciuto a tutti, soprattutto al nemico, un vicolo non cieco, un filo spinato sbrecciato, un fienile abbandonato, una casa diroccata.
Invece siamo andati a sbattere contro un elmetto tedesco che ci punta in silenzio la torcia elettrica. Lui ci guarda, noi lo guardiamo.
- Banditen? -
- Sì, “banditen”. E tu? -
- Österreich. Addio. -
- Addio -
Chi ci crederebbe, chi ci avrebbe mai creduto, in una notte così nevosa e ventosa, dentro un buio senza speranza: è colpa del freddo, ho pensato, è tutto merito del freddo.

venerdì 7 marzo 2008

Patto di sangue

Brutto spettacolo, quella piccola folla.
Il disordine, la confusione, il trambusto: come può l’indagine procedere con un minimo di serietà, di credibilità? Gente che va’ e viene, che cammina, che borbotta con aria incredula, la sigaretta in mano e la cenere sul tappeto turco, qualcuno che si frega l’accendisigari d’argento o la statuetta egizia; e poi questurini in divisa che contrattano con i fotografi, questurini in borghese che non vogliono i giornalisti; quelli della scientifica che spargono polverine e poggiano teche numerate sulla moquette, muovendosi come gattini affamati tra i piedi delle autorità; agenti che frugano nei cassetti della biancheria, un mucchio selvaggio che maneggia mutandine e calze di seta come fossero scorpioni; vicini di casa che premono per rendere testimonianze volontarie e volonterose - ..né visto né sentito assolutamente niente, però quella là.. -, per sbirciare nel mini ammobiliato in tutto e per tutto uguale al loro ma che, date le circostanze, sembra tutta un’altra cosa.
- Ma non ci sono le Tivù? -, che delusione.
L’ispettore Armani allentò la cravatta e si acquattò nella poltroncina, in disparte. Voleva attaccare la gomma sotto il tavolino di cristallo ma pensò, era sicuro, che qualcuno della scientifica l’avrebbe infilato prima o poi in un sacchetto di plastica. Non aveva la minima intenzione di complicarsi la vita, così rinunciò.
Rinunciò anche ad ascoltare il fruscìo di voci che si sovrapponevano e si rifiutò di guardare il cadavere; scomposto, patetico, rigido ormai.
- Povera ragazza.. – il solito commento finale, rituale, formale – d’altra parte, in questo maledetto mestiere se ne vedono di cotte e di crude.. –
Ed è vero, ma era ancora vivo in lui il bisogno di non arrivare all’assuefazione totale, al cinismo; è vero anche che quegli occhi sbarrati la gola tagliata, non erano uno spettacolo buono per ogni stomaco. Ma, soprattutto, non voleva distogliere l’attenzione da un richiamo, una scintilla. Un barlume che si era acceso nella mente. Anzi, nella memoria.
L’arma del delitto.
Abbandonata sul tappeto, ripulita per bene come un pezzo d’argenteria: com’è che nessuno l’ha ancora raccolta?
Si sentì grasso e sudicio, sudato come nei pomeriggi estivi laggiù, in periferia. Un senso di languore, di nostalgia ed anche un po’ di vergogna: l’ispettore Armani, allora, non era forse “Ciccio”, il ragazzino grasso e pauroso, diciamo pure vigliacco? Sorrise amaro.
Quant’era forte invece il “Lisca”, capo indiscusso della banda che era il terrore del rione; forte poi con quel coltello che sul manico aveva un cavatappi e che si portava sempre in tasca, spietato con i conigli che le comari gli raccomandavano di ammazzare delicatamente, con un colpo solo. Un ragazzo in gamba, nel suo genere, ma ora il cavatappi era lì, lucido, sinistro e bene in vista!
L’ispettore Armani sciolse il nodo della cravatta - ..ma che idea – pensò. Che relazione poteva avere il Lisca con quella storia, con quella ragazza di buona famiglia stesa sul pavimento?
- Nessuna, ovviamente, però.. – quel maledetto attrezzo! Quanti in città usavano un aggeggio del genere, quanti sono capaci di quel colpo netto?
Scosse la testa, incerto. Troppa grazia santantonio, ma ci pensate? Lui, promosso ispettore soltanto dopo aver costretto i parenti fino al sesto grado a votare l’Onorevole, lui che alla cerimonia della promozione aveva dovuto subire i commenti sussurrati dei colleghi e lo sguardo beffardo del Questore! Lui, che ora aveva nella manica il poker d’assi, un piatto servito dalla dea bendata per risolvere un caso per il quale si era scomodato addirittura il Prefetto! Si passò una mano sulla fronte, “ma siamo sicuri poi..?”
Rifece il nodo alla cravatta, strinse la cintura di un buco ed uscì.

I borbottii della marmitta bucata sembravano le fusa di un gatto steso sul marciapiede bollente. La tenda del fruttivendolo copriva le casse di mele e d’insalata rugginosa, nella bacheca del giornalaio la brezza leggera gonfiava appena la pubblicità dei settimanali, dal negozio del barbiere usciva tenue il ronzio del ventilatore.
“Da non credere: è rimasto tutto uguale, come quando me ne sono andato.. ma è soltanto apparenza, è chiaro: gli anni passano e i tempi cambiano, per tutti..” gironzolava lento per le vie deserte, prendendo tempo “Anche il Lisca si sarà adeguato, da piccolo teppista sarà diventato un buon professionista, uno di quelli che dopo il colpo non si fa certo crescere l’erba sotto i piedi, nessuno è così fesso.. ma non si sa mai. Diamo un’occhiatina qui”. Parcheggiò accanto ad un cassonetto fetido di verdura marcia e nicotina. La Sala biliardi era un prolungamento della puzza.
Entrò come aveva fatto tante altre volte da ragazzo, ma non gli riuscì così bene. La vita ed i destini cambiano, e così non c’erano più i saluti borbottati, le risatine tranquille di chi conosceva Ciccio e sapeva che non c’era nulla da temere, la sicurezza di chi non girava nemmeno le spalle in segno di disprezzo: tutti ormai sapevano che cavolo di lavoro era il suo.
- Un caffè –
- La macchina non è ancora in pressione. Ci vorrà del tempo, aspetti o te ne vai? –
- Chiamami il Greco –
Dal retrobottega una mano che sembrava un badile scostò la tenda, un braccio simile ad un paranco si appoggiò pesante sul banco, le labbra sottili che serravano una pipa non sorridevano
- Ciao “Ciccio”. Cerchi qualcuno, qualcosa o solo rogne? –
L’ispettore Armani ricordò di essere un poliziotto, prese di tasca il distintivo e lo poggiò sul banco, capovolto
- Sono in vacanza, voglio rivedere i vecchi amici. Sai niente del Lisca? –
- Ma che cerchi.. Ciccio, qui passa tanta gente tutti i santi giorni poi, all’improvviso, non la vedi più per mesi: cosa vuoi che me ne importi? Qui per me non ci sono amici, ma soltanto clienti, è il mio lavoro. Giusto? –
- No, no, io e te siamo stati amici, te lo sei scordato? Credimi Greco, è solo una rimpatriata, non vorrai rovinare la mia unica giornata di ferie.. –
Si diresse al biliardo più vicino ed infilò la mano in una buca qualsiasi. La ritrasse piena di bigliettoni
- Ma tu guarda la combinazione, tu non ne sapevi niente, vero? –
Il Greco fece schioccare le dita, scuotendo la testa – Questurini.. sempre i soliti – fece un gesto con la mano – vieni di qua –

Dietro una fila imponente di cassonetti, appena oltre il parcheggio abusivo stipato di automobili ammaccate, infilata nell’angolo di una facciata in via di estinzione c’era l’entrata dell’Hotel Paradiso. Il ragazzino si infilò furtivo dietro il bancone custodito da un vecchio immobilizzato dalle bretelle. – Avvisa il Lisca, qualcuno lo cerca – Il vecchio mosse appena un dito e premette tre volte un pulsante.
Il cicalino gracchiò ed il vecchio sollevò la cornetta – C’è qui un ragazzino, te lo passo.. –
Il ragazzo si impossessò del telefono - Lisca, ho un messaggio: il Greco dice che Ciccio vuole ricordare i vecchi tempi, da buon amico. Il Greco dice anche di non fidarti.. –
- Il Greco si è rincoglionito! Il poliziotto ti ha seguito di sicuro.. ascolta, rimani con il portiere ancora qualche minuto e poi squagliati, chiaro? –
Ciccio si asciugò il sudore dalla fronte, soddisfatto – Sta invecchiando l’amico! Già trovato, chi l’avrebbe mai detto? – scese dall’automobile e si appostò sul marciapiede, aspettò che il ragazzo uscisse, si aggiustò la cravatta ed entrò. L’odore di muffa lo portò direttamente al banco – Ciao giovanotto, sono qui per un controllo sui contributi.. – mostrò la patacca – il Lisca mi aspetta, dammi il numero.. –
Il portiere sembrava una mummia. L’ispettore Armani allargò le braccia ed allungò un paio di biglietti sul banco – Ho capito, tu i contributi non li versi ma li chiedi, allora? –
- Stanza tredici, secondo piano. La porta è aperta ed il letto rifatto: quindici sacchi a notte. Da un quarto d’ora è libera, la prende? –
- Porc.. – Ciccio si voltò di scatto rischiando di abbattere la porta a vetri sozzi, si infilò in macchina e partì sgommando.
Il vecchio si inumidì le dita e schiacciò il pulsante – Via libera -. Un uomo dal taglio atletico ed il sorriso di faina uscì dal vano del finto ascensore – Grazie nonno –
Fuori il sole era caldo e la brezza leggera ma, soprattutto, i netturbini erano all’opera.

Le stanze delle questure hanno, da tempo immemorabile,un odore inconfondibile: di tabacco, di muffa, di nylon, di piedi piatti, di dopobarba da scaffale, di deodoranti da automobile. Ma d’estate puzzano anche di caldo.
L’ispettore fece scricchiolare la sedia ed accese il ventilatore – Sembra l’elica di un bombardiere.. –
L’appuntato Ponzoni entrò con la posta e la solita aria svogliata – Ha sentito ispettore? L’omicidio della ragazza è stato affidato al commissario Bazzini.. –
- Hanno in mano qualcosa? –
- Sanno che la vittima aveva una relazione con uno spacciatore che le procurava la “roba”, ma nessuno lo conosce.. eh, eh:” la polizia brancola nel buio” –
- Ma non era una ragazza di buona famiglia? –
- Andiamo ispettore, in che mondo vive? E’ proprio nelle buone famiglie che.. –
- Ciao Ponzoni, ciao, esci pure e la prossima volta bussa –
Aspettò che la porta si richiudesse, tirò fuori dal cassetto la pianta della città e ci piantò i gomiti
- Vediamo, il Lisca è un ragazzo spavaldo, ma soltanto tra mura amiche. Va a pranzo dalla madre e nello stesso condominio ha un paio di fidanzate, spaccia alla Sala biliardi che saranno cinque minuti di strada e dopo il delitto si è rifugiato all’Hotel Paradiso, mezzo isolato più in là.. è chiaro che l’amico ha un’autonomia limitata, diciamo un paio di chilometri. A questo punto non dovrebbe essere troppo difficile, - tracciò un cerchio sulla zona – non può essere che qui! –

Le stanze dell’Hotel Paradiso avevano il pregio della sicurezza, della tana protetta, dell’ultimo rifugio per la preda braccata; ma non parliamo di comfort.
- Quanto darei per una vasca da bagno.. – il Lisca si rigirò su quel maledetto letto che pigolava ad ogni battito di ciglia, fissò il soffitto che parcheggiava una legione di zanzare, osservò la carta da parati chiedendosi se fosse proprio lei a sostenere le mura della camera – Avessi almeno una radio, sono stanco di traffico e di tarli –
Ripensò al Ciccio: cosa diavolo si era messo in testa, perché lo stava cercando? Ed era riuscito a fregare addirittura il Greco, che avesse imparato il mestiere? Ridacchiò – No dai, non è possibile.. quel ciccione! – ma qualcosa gli tormentava la bocca dello stomaco – Maledizione, che sia per il cavatappi? Imbecille che sei, volevi lasciare la firma, vero? – si diede uno schiaffo in testa – Hai visto che hai combinato? Il trippone si è ricordato di quell’attrezzo, il tuo biglietto da visita, ed ora crede di avere in mano la soluzione del caso! – si mise seduto sul bordo del letto – E’ venuto da solo, perché? Perché la carogna cerca il colpaccio, la promozione, l’intervista sui giornali e tutto ciò a mie spese! – strinse il naso tra le dita, per riflettere, ma immagini di sangue lo fecero desistere. Si alzò allora dal letto, passeggiando nervoso in un metro quadro – Ma via, l’hai fregato ieri, lo fregherai anche domani: vogliamo aver paura del Ciccio? Uno che conta come un due di picche, un ex ragazzino dal destino scritto sulle lentiggini.. – si ributtò sul materasso – ma anche se riuscirai ad arrivare fino a qui non la spunterai, stanne certo –

L’ispettore Armani sbrigò la posta, firmò un paio di rapporti ed uscì per il caffè.
Attraversò la piazzetta ed entrò nel bar, che proprio dirimpetto alla Questura, faceva giornata contando su una clientela molto selezionata: poliziotti ed informatori. Anche il barista faceva l’informatore, nel senso che riferiva ai questurini ciò che veniva a sapere da altri questurini.
- Salve ispettore –
- Fammi un caffè e passami il giornale –
Sedette ad un tavolo, aprendo le pagine di cronaca. Sul delitto fiumi di parole, illazioni, ipotesi, insinuazioni – Bene, non sanno niente – Andò a spulciare nei trafiletti tanto per tenersi aggiornato sui rapporti che aveva firmato ma non letto. Il cameriere poggiò il caffè sulla pagina di varie, l’ispettore se la spostò più vicino ma il cerchio lasciato dal fondo umido del piattino centrava perfettamente un titoletto che gli era sfuggito: TUTTI LO CERCAVANO, MA NON ERA MAI USCITO DI CASA”.
La notizia, in sé, non era granchè. Parlava di un pensionato che si era suicidato nel frigorifero, i parenti avevano frugato per ore in casa e nei dintorni finchè al nipote non era venuta fame. Niente di speciale insomma, ma il titolo lo colpì; gli ricordava qualcosa, sentì che in qualche modo lo riguardava direttamente, gli apriva una ferita improvvisa e dolorosa
- Vuoi vedere che quel gran figlio di buona donna non si è mai mosso dall?Hotel?! –
Uscì senza pagare.

Davanti all’Hotel Paradiso c’era traffico, quella sera. Gli spacciatori sotto il lampione d’angolo ed i tossici in fila, come alla fermata degli autobus, le auto parcheggiate dentro, fuori e sopra le strisce, le puttane schierate rigorosamente nelle aree di competenza ed i clienti che, indecisi ma arrapati, creavano qualche intralcio di troppo. In pratica si tamponavano come pensionati negli uffici postali.
Dalla finestra della stanza soltanto la brace della sigaretta che illuminava a tratti una canottiera candida; nessuno poteva scorgere il volto preoccupato, il gesto nervoso delle dita che stringevano la camel, ma l’intensità e la frequenza che accendevano quel piccolo punto rosso erano la spia, il termometro di una febbre.
- Ciccio, Ciccio.. – se lo ricordava bene, naturalmente. Una storia normale, di periferia: ci sono i forti e ci sono gli altri. Chi le dava e chi le prendeva, ad ognuno la sua parte, l’importante è che ci sia chiarezza. Il ciccione, naturalmente, era il più debole dei deboli ma, allo stesso tempo, era uno che non ti dava soddisfazione: sembrava di vincere, ma non eri mai sicuro. Era ambiguo l’amico.
- Lo battevi come una bistecca e lui ti faceva quel sorrisetto da coglione.. non c’era nemmeno gusto –
Questo lo indisponeva, gli metteva dei dubbi – Se è arrivato a collegarmi con il cavatappi tanto scemo non è. Potrebbe arrivare a capire che non mi sono mai mosso da qui! Ma di una cosa sono certo: si muove da solo, il bastardo, vuole una rivincita personale, vuole dimostrare a se stesso che ha le palle.. – la sigaretta volò dal balcone, scintillando nel buio – Meglio perdio, questo farà il mio gioco! – gettò un’occhiata sul solito spettacolo serale, quello di sempre, consueto e un po’ noioso ormai -..e se me ne andassi? –
Di sotto, tutto era in movimento: uomini, donne, fari, denaro. Soltanto un’automobile, all’angolo, aspettava immobile. Dentro, l’ispettore Armani fumava senza tregua, e senza fretta. – E dai, Lisca fatti vedere, accendi quella luce. So qual è la tua finestra perciò fa’ qualcosa, dammi un segno, vuoi farmi passare tutta la notte in questo maledetto trabiccolo? Che razza di mestiere questo.. –
Ma cosa stava aspettando? Conosceva il numero della stanza, era sicuro di trovarci il suo pollo, di che cosa aveva bisogno ancora? Si mosse a disagio sul sedile – Non è questione di coraggio.. ci vuole prudenza con certa gente. E poi, il caso non mi è stato neppure affidato: e se faccio la figura del pinguino, se non c’è nessuno nella stanza, cosa gli racconto al commissario? Se butto giù la porta di quella topaia e dentro ci trovo una puttana con il cliente, va a finire che ci lascio pure uno stipendio! –
Rimaneva lì, insomma, malgrado il formicolio che saliva dai piedi, gli occhi fissi alle finestre buie. Finchè, improvvisa, dal terzo buco nero della facciata, più o meno dal secondo piano, la scia di una sigaretta volteggiò fino al marciapiede schiantandosi in una miriade di scintille. Benché le gambe si muovessero come un compasso arrugginito, gli occhi puntati sul luogo dell’atterraggio, il Ciccio scese come un automa alla ricerca del mozzicone: sembrava un barbone. Alla fine lo trovò, era proprio una cicca di camel!
Cercò di riprendersi dal torpore e da una vaga debolezza di gambe; era arrivato il gran momento. Che fare? Si passò la mano sul viso, si massaggiò gli occhi, si grattò la barba fuori ordinanza, si tastò sotto le ascelle dove c’era la pistola e poi decise – Non ci sono alternative, devo darmi una mossa –
Entrò nell’Hotel, il passo incerto, perfino il vecchio lo scambiò per un ubriaco, – ..quindici sacchi.. –, il solito ritornello. Estrasse la Beretta personale, un modello non ancora in commercio e che aveva una caratteristica unica, anche se non nuova nel suo genere: faceva veramente paura. – Non muovere un dito, vecchio, metti le mani dietro la schiena! – gli passò alle spalle e lo ammanettò al calorifero. Era indeciso se addormentarlo con una bella botta in testa ma si accorse che stava già russando: doveva aver letto un buon manuale di sopravvivenza. Salì prudente le scale, sfiorando i gradini come a sfidare la legge di gravità, la legge che più del codice sembrava condizionare la sua vita. Come costringere un quintale di ciccia a sorvolare come una libellula quaranta gradini di legno marcio? Come impedire alla nicotina di far ansimare due polmoni alle prese contemporaneamente con una scala impervia ed una fifa blu?

Il Lisca era ancora sul letto, sempre più inquieto – Sparire, forse sarebbe veramente la soluzione migliore, ma dove? E con quale denaro? Mi servono soldi, appoggi.. quando sei ricercato devi prendere delle precauzioni, delle cautele, mica puoi salire su un treno e tanti saluti! E’ colpa mia se non mi sono mai mosso da casa, dal quartiere, dagli amici? Ma guarda in che casino sono finito, per colpa di una stupida figlia di papà.. – si sentiva in trappola, come mai nella sua vita – Calma e gesso, come dicono giù al biliardo: l’unico elemento che ti può incastrare è quella storia del cavatappi. Il ciccione però è l’unico che lo sa, perciò, eliminato lui io sarò salvo: semplice! Ma, anche non andasse così, lo sistemerò comunque per le feste.. –
Nemmeno il frastuono della porta che cedeva di schianto gli fece comunque perdere completamente il controllo: - Ciao Ciccio, come ti va? –
L’occhio nero della Beretta esplorò la stanza – Ciao Lisca, ti cercavo e ti ho trovato, tutto bene? –
- Dipende, in quale veste sei venuto? Sei qui come un vecchio amico o sei qui in divisa? E’ differente, lo sai.. –
- Il tuo forte sono i giochini con il coltello , non con le parole. E poi, se non ricordo male, non hai mai badato troppo alla forma.. –
Il Lisca sorrise – Beh, c’è forma e forma –
- Ah, che distratto, la mia Beretta nuova fiammante.. le sono affezionato in effetti, ce l’ho sempre in mano, ma tu non preoccuparti, anche se ha un aspetto aggressivo in realtà è piuttosto timida: fa finta di niente.. –
Il Lisca strinse gli occhi, un nervo sulla fronte che scalpitava e le dita delle mani che si intrecciavano: e così Ciccio era cambiato, eccome! Non era più il ragazzino grasso che respirava con la bocca, che scappava se alzavi un braccio per grattarti ma rimaneva impalato all’arrivo della gazzella, ed il questurino lo cacciava a pedate dopo avergli sequestrato il maltolto. Quello era il Ciccio ieri, ma oggi? Il Lisca non si arrendeva all’idea – Ha avuto soltanto una fortuna sfacciata, ha visto il cavatappi ed ha fatto due più due, che merito c’è ? – C’era, invece. E stava in quella specie di cannone che teneva in mano.
L’ispettore intanto si guardava attorno, guardingo. Possibile che tutto fosse così facile, lineare? Come mai il Lisca era, o sembrava, così remissivo, così rassegnato? Quella stanza disadorna nascondeva forse una trappola: un complice nascosto nell’armadio, un’arma infilata negli stivaletti anni cinquanta, una uscita segreta nella quale tuffarsi e sparire? Guardò l’uomo in canottiera seduto sul letto sfatto di una camera d’albergo di infima categoria e decise che no, non c’era alcun dubbio: stavolta gli era andata di lusso e lui, l’ispettore Armani, aveva in pugno la soluzione di uno dei casi più scottanti degli ultimi cinque anni. Si sentì forte
- Ti arresto per omicidio Lisca, in nome della legge, per cui niente di personale anche se, lo riconosco, tutto ciò mi riempie di gioia. E’ ovvio che sarei curioso di conoscere i dettagli, il motivo di questa crudeltà, ma non c’è fretta; abbiamo tutto il tempo di ricordare i vecchi tempi in commissariato.. –
- I vecchi tempi.. bei tempi, non credi? Te lo ricordi com’era questo quartiere? Chilometri di prati lontani dalla città, un autobus ogni due ore, una macchina della polizia una volta al mese.. ahh, che libertà: né dentro né fuori la legge anzi, cos’era, dov’era questa legge? Noi eravamo la legge.. –
- Tu e qualcun altro eravate la legge, lo sai bene anche tu. Un sistema sociale come un altro: voi al vertice, poi i vassalli, i leccaculo ed in fondo al barile gli schiavi.. per salire di grado dovevi sputare sangue, a proposito, te lo ricordi quel rituale? –
- Il rituale.. vuoi dire il patto di sangue? – gli occhi del Lisca brillarono – Stai parlando proprio di quello? Scommetto che tu, non volermene, non ci sei mai stato ammesso.. su, su, confessa: non te l’hanno mai fatto fare, vero? –
- Perché hai ammazzato la ragazza? –
- Su, non cambiare discorso: come dite voi poliziotti, non rispondere con una domanda alla domanda! –
- Perché hai ammazzato quella povera ragazza? –
- Via, non fare il duro con me, Ciccio! Ti do atto di esser stato un fesso, di averti sottovalutato. Ti credevo un incapace ed ho sbagliato: un errore di valutazione che pagherò a caro prezzo, non ti basta? Conosco le regole e non ho intenzione di trasgredirle: ti offrirò i polsi e andremo insieme al commissariato ma niente di più, chiaro? –
L’ispettore si rilassò – Come preferisci ma.. il patto di sangue, cosa stavi dicendo? –
Le dita del Lisca tamburellarono sul comò – Il patto.. era un riconoscimento dovuto a chi avesse compiuto qualcosa di importante per la banda, per me.. oggi tu l’hai fatto contro di me, ma credo ti sia meritato ugualmente quel premio. Se vuoi lo facciamo, per dimostrarti che non serbo rancore.. –
Ciccio non esitò neppure un istante – Certo, ecco il coltello, fallo tu.. – tolse di tasca un temperino e glielo porse. Il Lisca aprì la lama lunga appena un paio di dita e scoppiò a ridere – Sei sempre il solito dopotutto.. lo faremo bastare –
Si fece serio, poi un colpo secco e la lama tracciò un segno rosso sull’avambraccio – Ed ora a te –
I due rimasero così, a fissarsi, il sangue che gocciolava sul pavimento – Forza, uniamo le ferite: in silenzio, perché un patto di sangue non ha bisogno di parole –

Non c’era un solo ventilatore in funzione al commissariato quella mattina. Nei corridoi camicie sudate svolazzavano, pantaloni troppo corti frinivano come bandierine, passi veloci spingevano masse corpulente in un via vai frenetico; c’era un bel movimento insomma. Soltanto l’ispettore Armani sedeva tranquillo alla scrivania, l’aria del gatto sazio. L’appuntato Ponzoni entrò e depose rispettosamente la posta. Proprio così: rispettosamente! - Scusi ispettore, il commissario Bazzini sta uscendo.. ehm, complimenti ispettore –
Ciccio non lo degnò di uno sguardo, strinse di un buco la cinta ed uscì. Il commissario stava già prendendo il volo, le braccia che reggevano a stento qualche chilo di documenti, le gambette veloci come il ventisette, giorno di paga
- Commissario.. –
- Ciao Armani, complimenti, complimenti.. ti proporrò.. –
- Ma ha confessato? Cosa ha detto? –
- Non ho tempo, scusami ma sai, ha telefonato.. ci sto andando, ma tu cerca il Benvenuti che ti può dire tutto. Hai fatto il colpaccio stavolta, credimi! –
La barba lunga e le occhiaie di una notte impegnativa, l’agente Benvenuti era ora stravaccato sulla morbida poltrona similpelle del commissario – Salve ispettore – scomparve dietro la scrivania e riemerse con una scatola di sigari ed una bottiglia di brandy. Malgrado l’ora tirò una sorsata da cammello – Favorisci? – Ciccio si massaggiò il polso lì, dove c’era un cerotto a memoria perenne di una giornata indimenticabile – No grazie. Forza, raccontami com’è andata –
L’agente si accese un sigaro – Beh, più facile del previsto: l’ha uccisa ed ha confessato. Tutto semplice, senza problemi.. –
- Ma perché? Che relazione c’era fra lui e la ragazza, tra una bellezza dei quartieri alti ed il Lisca che non si muoveva mai dal quartiere? Come si sono incontrati? –
- E’ stata lei a cercarlo: si faceva e lui le procurava la “roba”, quella migliore. Così sono diventati prima amici, poi amanti.. –
- Ho capito, ma poi? Forse lei non lo pagava.. ma no, no, se lei era ricca non aveva senso. Ho capito: il Lisca l’ha ricattata, lei si è ribellata e lui.. –
- No, no. Qui la storia si fa un po’ complessa. I due hanno cominciato a frequentarsi, lui le raccontava della vita nel quartiere, della sua giovinezza e lei lo ascoltava, sembrava affascinata.. poi il Lisca si è messo in testa che era la donna della sua vita, sai com’è –
- Giusto, lei non voleva andare un certo limite e lui l’ha ammazzata: classico delitto passionale! –
Benvenuti scosse la testa, ridacchiando – No, qui viene il bello! A lei andava benissimo ma, ascoltando tutte quelle storie di quartiere, voleva un impegno, una prova: un “patto di sangue”, qualcosa del genere.. –
- So di cosa stai parlando, e allora? Che c’entra il patto.. forse la ragazza non l’ha rispettato? Non si può, altrimenti son cazzi, è la regola –
- Macchè! E’ successo che dopo qualche tempo il Lisca ha dovuto fare delle analisi in ospedale ed ha scoperto di avere contratto un male terribile: capirai, ci è rimasto di sasso! –
Ciccio sembrava impietrito – Cancro..? –
- Aidiesse. Lei era sieropositiva ma non lo andava certo a raccontare in giro, neanche al suo grande amore. La furbetta l’ha voluto tutto per sé: contagiandolo, unendo il sangue delle ferite il patto è diventato un matrimonio! Tutto freddamente premeditato, capisci? Ispettore, ma cosa c’è.. stai male, ispettore.. ma dove vai? -

sabato 26 gennaio 2008

Settimo piano.




L’uomo in tuta blu esce dall’ascensore, le mani in tasca e la borsa a tracolla. Scruta prudente il lungo corridoio sul quale si affacciano porte chiuse, trattiene il fiato per sentire i crepitii silenziosi del condominio come uno scoiattolo nel bosco, arretra guardingo fino alla finestra di aerazione e la apre. Uno sguardo indifferente al vuoto che sta di sopra, di sotto e dinnanzi: prima la borsa poggiata sul davanzale, poi i piedi sul cornicione stretto, come si possono avere nervi tanto saldi? Gesti precisi, consueti. Quanto lo spazio che lo divide dal poggiolino? Tre metri e qualcosa, parola di geometra mancato. Palmo a palmo avanza lungo la parete come un geco mentre ripercorre mentalmente i punti fondamentali del piano; il modo migliore per mantenere la concentrazione. Dunque: il suo uomo, il padrone di casa, è ricco, molto ricco, e per un paio di settimane se ne starà pancia all’aria al sole delle Haway. Nell’appartamento ci sono quadri di valore, ori e gioielli; niente liquidi perché i ricchi non usano. Il sistema d’allarme copre soltanto l’entrata perché, in apparenza, è l’unica via di accesso. Chi può essere così pazzo da percorrere più di tre metri su un cornicione largo una spanna per raggiungere il poggiolo situato al settimo piano di un palazzo di marmo levigato come una saponetta? Lui, soltanto lui, l’Unico!
Attenzione ora, è il momento più delicato. Vicini alla mèta i movimenti cambiano e così l’equilibrio, la mente può essere distratta dall’ansia o dalla presunzione della conquista: bisogna essere molto cauti, coordinati. Si deve essere sicuri che quando il corpo si sposterà anche soltanto di un soffio dalla parete, la presa sarà sicura, precisa, efficace!
Neppure un metro dal poggiolo: la ringhiera offre una buona presa per le mani ma non c’è spazio per infilare i piedi. Non importa, non c’è spazio nemmeno per il dubbio. Neppure lui se la sentirebbe di ritornare sui propri passi, a quel punto.
Raccoglie le forze, trattiene il respiro ed aspetta. Il momento giusto. Pronti? Via! Un molleggio lieve, un balzo, un volteggio: ma che succede?! La tracolla si scioglie dalla spalla, la borsa imbizzarrita si impenna e ricade sul polso con uno strappo pesante, poi giù!
Un sibilo silenzioso, una vertigine; infine il tonfo sordo l’allarme dell’automobile che scatta come un cane in agguato. Angoscia ed ululati.
- Maledizione! – l’uomo si ritira furioso dalla ringhiera e si acquatta sulle mattonelle del pavimento – Tre volte maledizione, proprio sopra un’automobile doveva cadere, cosa faccio adesso? Arriverà il proprietario, chiamerà la polizia, scopriranno gli attrezzi da scasso, alzeranno gli occhi al cielo e tireranno le somme.. le dovute considerazioni! –
Osserva le tapparelle, si accorge che sono sgranate per far filtrare un po’ d’aria – e già, col caldo che fa !- entrare sarà uno scherzo.
Si tranquillizza finalmente perché nel condominio ci sono più di cento appartamenti ed almeno la metà sono vuoti per ferie. La polizia avrà il suo bel daffare prima di arrivare da lui. Le dita si muovono abili, la tapparella si solleva quanto basta: è dentro!
La penombra è un sollievo, il tinello un rifugio, la poltrona un traguardo, il mobile bar un invito: ci facciamo un drink? Birra! Per forza, dato che il frigorifero è stipato di lattine, meno male che.. – La mia marca preferita! Bene, cominciavo a pensare che la signora Fortuna se ne fosse andata in ferie assieme al padrone di casa, invece si dev’essere soltanto distratta un attimo.. –
Prende la più gelida, si toglie le scarpe e sprofonda nella poltrona piazzata davanti al televisore.
- Quasi quasi lo accendo, ho tutto il tempo che voglio. Non sarò così imbecille da arraffare qualcosa e squagliarmela! Tra qualche minuto di sotto sarà un telefilm americano: il proprietario dell’automobile che strilla come un’aquila ferita, gazzelle che sgommano, sirene a squarciagola, la piccola folla dei senza ferie che ha trovato un buon motivo per sfuggire l’aria condizionata. No, no. Io me ne sto qui tranquillo, con la mia bella birra fresca. –
Ma rinuncia alla televisione, perché a quell’ora non c’è un programma decente e poi è meglio non rischiare. La birra scivola a sorsate avide nella gola come il migliore degli anestetici finchè dalla fronte sgorgano spontanee goccioline e goccioloni di sudore come una fungaia dopo il temporale: è il famoso effetto sauna, una reazione assolutamente normale. A portata di mano il mobiletto con l’impianto hifi, giapponese, uguale identico a quello che gli ha regalato sua madre per il compleanno. Scorre il dito tra i compact, tutta musica classica – Haidn, il massimo.. – si sente proprio a casa sua. Osserva i quadri appesi al muro: paesaggi, figure morte.. bello quel Mirò, autentico? E’ tutto un po’ alla rinfusa, quella mescolanza tipica di chi non se ne intende, di chi compera soltanto perché è un affare, ma se in quel bendiddio non ci sono falsi questo è il colpo della vita.
Ma quel quadro d’angolo, la piazza, le ombre lunghe: dove l’ha già visto? Ma certo, il colpo in Spagna! Quel Guttuso l’ha rubato lui!! Un pudico senso di orgoglio gli nasce nel petto, neanche l’avesse dipinto ed ora lo trovasse appeso dove meno se lo aspetta: in una casa signorile, presso un ospite di quelli che contano!
Ah, se lo ricorda quel colpo. Si era procurato un bel falso dallo “Svizzero”, un vero campione nel suo genere. Finito male, poveretto. Pagato alla grande, forse troppo, ma l’impresa era stata epica e fortunata. Prima a beffare la vigilanza privata del Museo, poi la Milizia spagnola, infine le guardie di confine. A casa tiene ancora un pacco così di articoli di giornale. Ma come sarà finito qui?
- Ah, ah! E adesso me lo riprendo! Incredibile, ci dev’essere un legame, un destino comune tra me e questo quadro.. –
E se, con un gesto munifico, lo lasciasse lì, nel bel mezzo di una parete completamente nuda? Già, e se poi il proprietario si limitasse a tirare un sospiro di sollievo ed a considerare il ladro un povero ignorante? Questo non gli piace. Decide di non dare soddisfazione alla vanità ma che, invece, è ora di darsi da fare, di dare un’occhiata al resto dell’appartamento.
La cucina. Bella, luminosa, spaziosa, frigorifero pieno, mobiletti traboccanti, ci sarebbe da saziarsi per un mese svaligiando soltanto quella.
La stanza degli ospiti. Elegante, signorile, ma insignificante dal suo punto di vista.
La camera da letto. Armadi a muro e blu elettrico alle pareti, il colore giusto per riposare e tutto il resto.
Sì, ha sempre avuto un debole per quel colore, forse perché ha sempre sognato la carriera dell’aviatore, forse per le estati trascorse pancia all’aria e naso al cielo. Azzurro. Possente, immobile, profondo, anche noioso dopo un po’: che altro può fare un ragazzo senza una lira in tasca? Era stato proprio durante una di queste estati che, pensa e ripensa, aveva deciso che quella situazione non poteva durare a lungo. Vitelloni si nasce e non era il caso suo.
Così si è dato da fare, con successo. Beh, qualche volta il cielo l’ha rivisto, a scacchi, ma tutto sommato tra il dare e l’avere..
La stanza da letto, dicevamo. Il luogo dove ogni essere umano, razionale e ricco ha la vaga ed irresistibile tendenza a tenerci una bella cassaforte; per i meno abbienti c’è il materasso. Eccola infatti, dietro una crosta senza valore.
- Ah, ah! Questo si crede intelligente, un furbacchione.. vediamo il modello: uhm, nuova di zecca, collegata al sistema d’allarme. E bravo, vuoi farmi lavorare, eh? –
Passa nello sgabuzzino dove trova gli interruttori generali, fruga nella borsa degli attrezzi del padrone di casa e risolve in fretta la questione
- Bene, l’allarme è staccato, ora tocca alla signorina –
Non ha mai avuto troppa fortuna con le ragazze, ma con le casseforti tutta un’altra storia! Un quarto d’ora e lei cede arrendevole; con un sibilo che sembra un sospiro l’oblò si apre e mostra controvoglia ogni segreto. E c’è di tutto: ori, gioielli, diamanti, monete!
- Miseria, questa è la volta buona che mi ritiro! - c’è emozione nelle parole, ma non nelle mani che con calma e delicatezza poggiano sul pavimento i cuscini di velluto sui quali brilla quel bendiddio – Guarda che roba! E questo zaffiro? Bello, mi ricorda qualcosa.. –
Ah sì, il colpo nella villa della Contessa. Una notte movimentata, un colpo in apparenza tranquillo, un piano che sembrava perfetto ma che si era rivelato approssimativo ed improvvisato tanto che mai come quella volta si era sentito tanto vicino all’imbarazzo che soltanto un ladruncolo colto sul fatto può provare. Ma anche l’occasione, la prima, nella quale il pericolo imminente aveva fecondato una capacità inimmaginata di fantasia e creatività. Proprio così: creatività!
Cosa avreste fatto voi se vi foste trovati al posto suo, in un salone seicentesco di una villa veneta vuota di inquilini e piena di capolavori e gioielli, vestito da ladro come si compete ad un professionista e, all’improvviso, gli enormi lampadari che pendevano da soffitti stratosferici si fossero accesi tutti assieme ed una folla di persone che sembrava uscita da una commedia del Goldoni avesse inondato vociante ogni angolo della sala? Arlecchini, Pantaloni, Colombine, damine e cicisbei, ventagli e parrucche, spreco di cipria e di nei: lui vestito di nero e torcia elettrica. Diabolik è comunque una maschera ma, come personaggio, poco consono al tempo, all’ambiente ed alla situazione! Certo, la prima reazione rapida ed improvvisata era stata quella di tuffarsi in una specie di madia, ma si capiva che la festa sarebbe durata a lungo: quanto avrebbe potuto resistere là dentro? Poi si erano abbassate le luci e dal giradischi, invece di polke e minuetti, uscivano lenti pomicioni. Le coppie si erano avvinghiate languide e lui, sempre più scomodo ed in debito di ossigeno, ne aveva approfittato per accendere la torcia ed ispezionare il contenuto della madia: tovaglie, tovaglioli e fazzoletti. Tutto rigorosamente di lino. Che se ne faceva? Intanto le luci si abbassavano sempre più, le voci si spegnevano in sussurri, poi in mugolii e lui stava per avere una crisi di nervi. Che figura, che figuraccia se si faceva beccare.. meglio decidere qualcosa.
E così fece: a luci praticamente spente, aveva spalancato d’un botto il coperchio della madia sventolando una tovaglia di lino così gialla che sembrava un catarifrangente e lanciato un grido disumano.
- Il fantasma!! – grida isteriche, fuggi fuggi caotico, uno sgommare frenetico. Poi, un silenzio salutare.
E lì, nel bel mezzo della sala, uno zaffiro splendeva sul pavimento. Ah, che notte!
Ma ora basta con i ricordi, anche se è simpatico ogni tanto lasciarsi andare, specialmente quando sei rilassato, quando nessuno ti soffia sul collo, quando il pericolo ti concede del tempo che è delizioso centellinare.
E’ che qui si trova bene, a proprio agio; sembra anzi che tutto in quella casa, dai mobili alla refurtiva, gli riapra i cassetti della memoria, giù e giù fino all’infanzia. Già, ma non si può fare in un mestiere come il suo. Ogni distrazione può essere fatale, è logico.
Allora, con la precisione e la meticolosità di un magazziniere comincia a dividere e catalogare la merce.
Il suono del telefono lo coglie mentre assaggia i carati di un anello e quasi ci rimette un dente. Chi sarà?
- Che faccio, rispondo? No. Sicuramente è una trappola, la polizia avrà deciso che non vale la pena di farsi tutta quella fatica perlustrando gli appartamenti e starà usando il telefono. Più facile e pratico.. – Lo squillo insiste – Però non è detto. Potrebbe essere chiunque: il figlio, l’amante.. sì, sono curioso. E allora? Posso sempre dire che hanno sbagliato numero.. –
La mano esita, il trillo continua, alla fina alza la cornetta
- Pronto? - tenta di camuffare la voce
- Sei tu Luigi? Parlo con Luigi Tentoni? –
Riappende di scatto – Ma che razza di scherzo è questo?! Chi diavolo può sapere che sono qui, in questo appartamento?! Maledizione, non ne ho parlato con anima viva! - E’ spaventato sul serio e non è finita perché subito il telefono riprende a squillare. Luigi infila la testa sotto i cuscini del divano – Ma chi sei, che vuoi, chi ti manda?! Maledizione, non avrò lasciato i il portafogli con i documenti dentro la borsa degli arnesi! - Si fruga nelle tasche ed il portafogli c’è, i documenti pure – Qui c’è puzza di bruciato, ma non finisce qui, eh? Non finisce qui! Non sono un tipo arrendevole io, non mi conoscete anche se sapete il mio nome.. Calma! – siede sulla poltrona, infila le scarpe perché è meglio essere pronti a tutto e tenta di riflettere, di ripercorre le tappe del piano per scoprire dove mai ha commesso un errore così grossolano
- Sanno come mi chiamo, conoscono il mio nome.. ma come hanno fatto? - non lo sa, non riesce proprio a spiegarselo. Però è strano anche il comportamento della polizia! – Ma cosa hanno in mente, di telefonare in un centinaio di appartamenti chiedendo se il sottoscritto è per caso impegnato in un furtarello?! Inverosimile, via! E poi la voce al telefono, giurerei di conoscerla.. – ha un piccolo brivido – Sembrava Carlo – Già, suo fratello. Ma è morto, da qualche anno ormai.
Scuote la testa per scacciare il ricordo di allora ed il problema di adesso: la soluzione dev’essere un’altra. Così, seguendo un dubbio, un’intuizione, un’idea strampalata, si alza e si avvicina cauto all’ingresso, scruta dallo spioncino, apre la porta, legge la targhetta in bronzo
- Dott. Cav. Tentoni Luigi –
e rimane di sasso. Ah beh, questa poi! Roba da morir dal ridere!
- Ah, ah.. Dott!! Cav!! Ah,ah, questo è il colmo! Un incredibile caso di omonimia, il derubato ha lo stesso nome del ladro.. titoli a parte, ah,ah! Ma come ho fatto a non capirlo subito? –

Di sotto la strada è animata. Malgrado il caldo feroce, malgrado sia tempo di ferie.
- Che succede? Che succede? – la polizia ha il suo bel daffare per tenere lontano i curiosi.
- Sgomberare, sgomberare, che ci fate in strada con questo caldo.. forza, se non ve ne andate vi sbatto al fres.., vi sbatto dentro! E’ lei che ci ha chiamato? – l’uomo dice di sì e si capisce che ha vomitato.
- Guardi qua – mostra il corpo scomposto sul tetto sfondato dell’automobile. Il poliziotto osserva con l’aria esperta e competente, gira attorno alla macchina – Che schifo, come ha fatto a ridurlo così? Ne ho visti di incidenti ma è la prima volta che vedo un uomo investito dalla capote di un’automobile: lei è un fenomeno! –
- Ma che sta dicendo?! L’automobile è parcheggiata da due giorni! Questo tizio si è sfracellato da uno dei poggioli che stanno proprio qui sopra! Mi sembra evidente, no? – l’uomo si accascia sul bordo del marciapiede – Cristo, presa col leasing.. –
Il poliziotto si gratta una guancia
- Da lassù dice, eh? Suicidio, di sicuro – ma l’altro scuote la testa
- Ha una tuta da operaio. Forse era addetto a qualche manutenzione, forse doveva fare qualche riparazione. Sarà scivolato.. proprio qui, destino infame! –
Poi alcune mani si alzano indicando verso l’alto
- Guardate lassù, c’è una borsa appesa la poggiolo! Al settimo piano! –