Nuvole di nebbia escono affannate dalle narici dilatate, ma sono l'unico segnale di fatica dalla pariglia di buoi tozzi e possenti che ha tirato il carro sulla neve greve di marzo. Il tragitto non è stato lungo, ma la strada stretta ed impervia lungo la valletta incassata tra le rocce che nascondono all'occhio dei profani il sacro rifugio di San Romedio e le travi di granito caricate sul carro hanno messo a dura prova gli zoccoli infangati. Ora sono fermi in una radura, l'uomo con la frusta ha infilato loro il muso nel sacco della biada e guarda nervoso in alto, verso il picco incombente, verso i tetti neri che sporgono appena alla sommità della roccia - Venite qua, voi! Servi della malora! - due ragazzi stracciati saltano come camosci di sasso in sasso
– Eccola la porta, padrone, eccola la porta! –
- Venite qua subito ho detto, venite qua demóni, che questo è luogo sacro! Ma perché non c'è nessuno, perché non è venuto nessuno? Non sono questi i patti! – fa schioccare la frusta ed agita i pugni prepotenti, ma arretra e si inginocchia umile quando, come d'incanto, il saio grigio compare sul sentiero - Che fai qui? Questo sentiero è cieco, che vuoi? –
- Perdonate Priore, la monaca ci ha ordinato di abbattere l'antica porta di legno del Sacro Bosco e di trasportarla alla pieve di Sanzeno, con cura di non procurarle alcun danno, quindi di sostituirla con queste travi di granito ben squadrate e con i volti scolpiti di San Romedio ed i suoi compagni, Davide ed Abramo. Ha chiamato me ed i miei giovani faméi perché sono bravo nel lavoro.. La monaca ci disse che l'avremmo trovata qui, ma io non la vedo! –
- Tutto il terreno attorno al rio Verdes appartiene al Rifugio e tu non ci hai chiesto il permesso di transito; tantomeno di fabbricare o disfare ciò che ci appartiene. Gira il carro e vattene –
II saio scompare lungo il sentiero e le parole non ammettono replica
- Forza, forza! Togliete il sacco alle bestie, forza! Girate il carro, via! –
i ragazzi fischiano ed urlano ai buoi mentre l'uomo con la frusta non sa trattenersi dal raggiungere quello che era l'obiettivo della spedizione.
La porta è lì, sul limitare di un bosco fitto di faggi affollati attorno alle acque avare del rio Verdes e non sembra un granché; il legno è fradicio e tarlato, gli infissi scossi dai secoli sembrano cedere al loro stesso peso, la serratura arrugginita. È lì senza una parete, un muro, una staccionata che la sostenga. O che dia uno scopo alla sua presenza.
- Questa vecchia porta è inutile, ma anche una porta nuova di zecca non servirebbe a nulla di più: che cosa avrà in mente la monaca? Il priore di certo lo sa, se ha opposto un rifiuto lo saprà, di certo! Ed io forse ho perso un buon lavoro.. -
La porta è lì, inutile e decrepita ma lui non osa cercare segreti oltre la linea immaginata, immaginaria, del confine che lei non ha in apparenza creato. I ragazzi fischiano e tirano calci ai buoi mansueti, l'uomo ritorna sui suoi passi e fa cantare la frusta.
- No, Aricarda, questa non è un'azione degna di te e della nobile famiglia alla quale tu appartieni.. - la voce del confessore è un fruscio di rondine ma giunge chiara alle orecchie della monaca che a testa bassa ascolta. Nella pieve di Sanzeno pochi ceri tremuli formano appena un presepe nel buio opaco delle navate, non fanno nemmeno brillare i teschi dei martiri adagiati sulle proprie ossa nei sacelli, nè le braccia larghe del Cristo sopra l'altare spoglio, nè gli occhi accesi dentro gli ampi cappucci; solo il sussurro del prete.
- Il Priore del Rifugio è uomo umile e rispettoso dei Sacramenti, ma di buona cultura e non privo del senso di autorità che compete al suo ruolo: egli conosce la storia della porta, egli sa quali sono i confini tracciati da quelle vecchie assi marce.. le tue pietre ornate di sculture non hanno significato, non conoscono la storia, la radice della morte di Remigio nobile di Taur e della nascitadi San Romedio. Solo quelle travi cadenti di secoli possono raccontare un fatto così inaudito.. –
La voce altèra della monaca Aricarda non è incrinata da dubbi.
- Dopo la morte del grande Eremita il Rifugio è rimasto in stato di rovina ed abbandono, alla mercé dei miseri che fuggivano dalle scorribande degli invasori prima e scampo per ladri ed assassini poi: dopo cent'anni dalla grande paura del Mille la Chiesa ha destinato quel luogo sacro a Santuario e ne ha costruito le fondamenta! Perché quell'uomo buono e pio non continua l'opera? Perché il Priore non vuole accettare il mio dono, una nuova porta di granito che sostituisca le assi cadenti e manifesti con il volto dei santi e la croce di Cristo la sacralità del luogo? Che fa lui, materialmente, per innalzare il nome di Dio? –
- Aricarda, Aricarda.. sì, tu hai scelto la pietra ed il colore, hai ordinato allo scultore che cosa ne doveva ricavare, hai spiegato la misura delle altezze; avevi la mente distratta dagli accessi del palazzo della tua famiglia, oppure da quelli del convento! Porte che danno entrata in una stanza, o l'uscita sulla corte, o nella Sala dei convegni, o nelle cucine: ma dalla porta del Bosco Sacro, in che cosa si entra e da che cosa si esce? Non credere che sia qualcosa di simile alla porta della Vallavena situata ai confini del bosco, lassù alle tre ville, per proteggerlo dalla avidità dei contadini e non ha bisogno al tramonto di essere rinchiusa a tre mandate, nè le chiavi devono essere custodite nella sacrestia! La porta del Bosco Sacro è un passaggio verso.. verso.. Come posso spiegarti? Un passaggio diverso! –
- Diverso.. una parola che non spiega. Come potrò non guardare con occhio irato il Priore, uomo che sembra non nutrire pensieri ma soltanto convinzioni? È questa l'unica arma dei Minori quando affrontano ciò che non sanno spiegare? Io riconosco il Mistero del Cristo e mi servo della Fede per entrare in comunione con Lui: oltre all'affronto subìto dal legno della croce, sarà Egli costretto ad essere umiliato ora anche da qualche asse marcia? –
- Non tutto è mistero divino, Aricarda. Non bestemmiare! Ci sono buone ragioni per mantenere segreti che non necessariamente appartengono al Regno celeste.. –
- Certo. Questo vale per i villani, per gli infedeli, per coloro che non si sono avvicinati alle Scritture ed i posseduti dal Diavolo! Devo pensare di essere tenuta in tale considerazione? –
Le mani del sacerdote tormentano la barba fluente
- Bene, non sono sicuro che orecchie di donna, anche se monaca.. questo viene tramandato solo oralmente,capisci?, e la bocca di femmina, si sa.. È un grande onore che ti faccio, un segno di grande fiducia, mi raccomando eh? Aricarda, ascolta questa storia –
Le lame incrociate verso il cielo brillano e vibrano sotto la spinta dei muscoli potenti e della rabbia feroce. Remigio, nobile di Taur, sente che l'avversario sta percedere, che tra poco l'uomo che lui odia più di ogni altro al mondo piegherà le ginocchia, poi la schiena; e glioffrirà il collo. Ai lati della radura gli uomini in arme hanno accettato di buon grado che lo scontro si risolvesse tra di loro, tra i capi di quei due piccoli eserciti di taglialegna, ed ora partecipano con urla di incitamento o di timore all'andamento del duello; l'esito segnerà anche la loro fine o la vita e già qualcuno tenta di allontanarsi non visto. Infine il braccio lascia spossato la presa ed a Remigio non rimane che l'atto che precede la vittoria: il ferro si alza pesante al cielo, ma l'altro non offre il collo. Lo sguardo implorante, ma la voce ferma - Non uccidermi, Remigio. Che te ne fai di un cadavere?-
- Ti uccido perché non odio nessuno più di te, ti uccido perché ti ho sconfitto, ti uccido perché ne ho il diritto: ti uccido perché sono il più forte! -
- Sei il più forte, ma non il più saggio. In ogni valle dai monti Tàuri alle Alpi si raccontano gli scontri e le beffe, i duelli e le battaglie della nostra sfida; sei sicuro di voler scrivere la parola fine alle canzoni che di valle in valle ci rendono famosi? Sei sicuro di volerti liberare di un nemico cosi fiero da fare grande anche te? –
II ferro rimane proteso verso il cielo, senza esitare, ma rimane proteso al cielo. Veloci corrono i pensieri nella mente di Remigio, ma non sono le parole del Grande Nemico ad immobilizzare il braccio. Piuttosto, il ricordo della donna deforme incontrata ai margini della foresta, i suoi capelli grigi arruffati dalle dita sporche. E le sue parole.
"Sei un uomo che brucia i propri talenti! Li consumi uno ad uno e prima o poi non avrai più risorse, sei grande soltanto grazie alla pochezza altrui ma ricorda: il fuoco che ti tiene in vita è alimentato dall'ira verso il Grande Nemico! Se il Destino ti libererà di lui, per te sarà grave danno e finirai nel Nulla prima del tempo che la Natura ti ha riservato.."
Strega maledetta, e se avesse ragione? Ma il momento è delicato e si deve decidere in fretta. L'arma s'infila profonda nel prato.
- Presto voi, portatemi le catene! - un robusto collare di ferro si chiude attorno al collo del Nemico e la catena è fissata corta alla sella del Vincitore - Via, al castello! -
II castello di Taur ha le torri slanciate, il castello di Taur sta sopra un monte e domina valli e valli, sul castello di Taur la neve arriva da nord e la neve arriva da sud; ma il vecchio signore di Taur non ama il panorama. Ha due dolori il vecchio signore, la gotta e l'ultimo figlio: non sa quale faccia più male.
- Un guerriero che non sa uccidere mi mostra orgoglioso la sua magnifica preda: un guerriero che non sa morire.. Ah! E cosa siete venuti a cercare nel mio castello? Un tetto, del cibo, legna da ardere, donne! Ed io in cambio cosa avrò? Disonore! Remigio, o stacchi la testa che sta sopra quel collare o ve ne andate, tu ed il tuo nuovo cane! –
Remigio prepara il cavallo, carica il mulo di viveri e dei pochi averi, fissa la catena alla sella e getta una pelle d'orso al prigioniero. - Metterò il cavallo al passo, quando sarai stanco dammi una voce. Ho deciso che non devi morire: sei stato sconfitto e non ti rimane che ubbidire –
Sono dure le Alpi, dure per i ricchi e per i poveri. Dai boschi intricati alle praterie nevose delle cime; senza piante, senza sorgenti. Poi giù lungo i ghiaioni erti e pietrosi verso morene che seguono inerti i ghiacciai, ancora a scalare passi intravvisti che non offrono sbocchi, che lo costringono a ritornare sui propri passi senza incontrare mai anima; solo il crepitare dei sassi precipitati da zoccoli di stambecchi invisibili e tracce gialle di lupi sulla neve. Talvolta il conforto di un anfratto, una caverna al riparo dagli schiaffi dell'Ostro.
- Remigio, perché scappiamo tanto lontano? Non potevamo svernare in qualche valle laterale di Taur? Non potevamo aspettare la primavera presso qualche bifolco e lasciare che l'ira di tuo padre si sciogliesse assieme alla neve? –
- Io sto scappando, non tu. Tu non conti più nulla, sei mio prigioniero, uno schiavo. Non hai più passato nè futuro, devi solo camminare! Ringrazia gli dei, che quasi ti invidio: io devo pensare, decidere, seguire una direzione, evitare i pericoli, procurare il cibo, accendere ilfuoco.. tu ti limiti appena a seguire le mie impronte. Non stai forse meglio tu? E poi, dimmi la verità, speravi che sbollisse l'ira del vecchio o la mia? Puoi scordartelo, Nemico, puoi scordartelo! L’ira del signore di Taur nasce dalla gotta, la mia dall'odio –
- Remigio, qualche luna prima del duello ho incontrato una carovana di slavi: venivano da non so quale battaglia e proseguivano verso la terra di Persia, verso un'altra guerra. Perché non seguiamo i loro passi? Perchè non tentare la Fortuna? Hanno raccontato di regioni prodighe di ricchezze e di gloria per guerrieri valorosi. Pensa, due come noi.. –
- Basta! Finché avrai la catena attorno al collo non osare mai di metterti sul mio stesso piano! Per il momento sono il caso e l'orgoglio a tracciare il mio cammino! Che sarà anche il tuo! Ora tieni a freno la lingua se non vuoi che ti stringa il collare attorno alla bocca, raccogli la tua pelle e preparati, si riparte –
Alla fine il piano, un fiume, qualche villaggio, il ristoro delle comunità ma anche lo stupore, l'ostilità verso quello straniero che si porta appresso un uomo in catene. E allora via, ancora su; altri passi, altri monti fino alla valle dei Nones. Una valle larga e luminosa, cosparsa di rade ville disperse come massi erratici rotolati dal Caso, povera di viandanti e ricca di rape.
È stanco Remigio, come il cavallo, il mulo e il Nemico quando arrivano nella stretta valletta. Da lontano ha visto del fumo: qualcuno ci deve essere se ha acceso il fuoco nella neve alta, qualcuno ci sarà se nell'aria c’è odore di grasso di porco.
Ecco, proviene da lassù, da quel picco ripido ed il cavallo infila da solo il sentiero fangoso ed erto che porta alle mura basse ricoperte da un tetto di fieno fradicio di neve che scioglie. Libera il mulo ed il cavallo da soma e finimenti, li spinge nel riparo scassato della mangiatoia, getta le casse dei suoi averi in un angolo, non dimentica la catena ed entrano nel rifugio.
Nella stanza buia e puzzolente il fumo è denso e rancido, la vecchia risveglia il fuoco sventolando una frasca di pino ed al tavolo siedono due uomini; indossano pelli pesanti contro il freddo ma sul fianco le mani indugiano sull'elsa di corte spade. Soldati?
- Voglio mangiare, vecchia. Cosa mi puoi dare? –
- Minestra di rape, mezza coscia di maiale. E tu, cosa mi puoi dare? –
la donna carezza con mani avide la pelle che copre l'uomo in catene
- Per questa coperta posso farti dormire sulla paglia, strigliare le bestie e lavare i panni se ne hai.. Se mi lasci anche quello che c'è dentro la pelle d'orso aggiungerò pure qualche provvista per il viaggio, ah ah! È un bell'uomo, forte.. –
Anche i due soldati ridono - Cosa te ne fai di un nuovo servo, Pillona, non ci siamo già noi? Ah ah, la vecchia vuole carne fresca! –
Ma Remigio non sorride; non gli piacciono gli scherzi, non si fida dell'allegria. Dalle sue parti una risata in libertà può staccare una valanga di neve, mettere in fuga un camoscio a tiro d'arco, irritare un orso affamato, attirare un branco di lupi feroci, interrompere il canto d'amore del gallo cedrone: sopra tutto, scatenare l'ira terribile del vecchio signore di Taur, corroso dal sidro e dalla gotta
- Vecchia, ti lascerò i finimenti del cavallo: un po' di cuoio è sufficiente per qualche rapa e un osso di porco. Se tratterai bene le bestie forse ti darò anche una fibbia di bronzo, ma non farci conto -
I soldati si agitano sulla panca - Fai bene a non essere troppo generoso straniero, perché se vuoi proseguire il tuo cammino dovrai lasciare qualcosa anche a noi –
- Questa è una stazione di pedaggio? –
- Certo. Per chi sale verso il monte Roen, per chi scende verso il fiume Noce il passaggio è obbligato: e obbligatorio è il pedaggio in denaro o in beni che chiunque è tenuto a versare. E tutto va a finire nelle tasche del Sàlter, l'esattore del Regno. Nessuno sfugge, noi siamo qui per questo. La vecchia ci è testimone! –
- E se io rimango qui, che facciamo? Se io non transito nè verso il fiume nè verso il monte, devo pagare il pedaggio? –
I soldati si guardano sorpresi. Già, che si fa? Il più anziano si liscia la barba e scruta Remigio con due lingue di fuoco - Tu vieni dal popolo di là delle Alpi, vero? Il popolo degli uomini muti.. che poco conosce l'uso della parola, che non ride, che non sa scrivere, però tu hai parlato come un mercante d’oriente.. hai viaggiato? –
- Questo è il mio viaggio e sembra sia già finito –
- Amico, non so se è cosi semplice: potrei andare fino al castello del Sàlter a chiedere consiglio, ma ci vogliono tre ore di cammino. Fuori fa freddo, c’è la neve.. Non rimane che il giudizio del Sole, è più sbrigativo –
Dopo aver mangiato e parlato, i tre uomini ed il prigioniero escono dalla capanna lurida e scendono nella stretta valle del rio Verdes fino ad una radura senza erba nè piante, sovrastata da una parete sporgente di calcare che lascia filtrare l'acqua e la ragnatela di radici degli abeti che stanno sopra, sul bosco ripido che prosegue nel monte; nel mezzo una roccia piatta, larga e liscia attorno alla quale potrebbe sedere una decina di ospiti, di lato un'altra roccia appuntita verso il cielo. Sembra un piccolo teatro naturale, riparato dalle rocce incombenti che lo sovrastano; sembra nudo di Natura come se l'Energia che serve all'erba per crescere ed alle piante per svilupparsi fosse assorbita da quella grande roccia bianca; sembra un luogo apparso da un altro mondo, una magia senza eguali.
Sembra quello che è, in verità.
- Questa è la roccia sacra dalla quale, per volere del Padre, nacque Mitra, dio della luce! Nel giorno in cui il sole compie nel ciclo il percorso più lungo qui viene ucciso un toro e sulle rive del Verdes si battezzano i fedeli, ho detto bene Davide? –
- Certo Abramo, ma parlagli della porta, parlagli della porta! –
- Ah, la porta.. - Abramo si accarezza la barba e passeggia attorno alla roccia piatta, con gesti ampi e pomposi di cui soltanto i sacerdoti ed i mercanti sono capaci, di cui sono capaci le persone che mentono o che vogliono farsi gioco dei villani
- La porta, il giudizio del Sole! Io non so se sono nel giusto, se mi comporto secondo le Regole: certo tu non sei stato battezzato con l'acqua nè col fuoco, le tue mani non sono state unte di miele e non hai mangiato il pane sacro, nè bevuto il vino annacquato. Non hai percorso nemmeno uno dei sette gradi che permettono di arrivare al cospetto del Padre! Ma sembri un uomo determinato: hai una spada, un prigioniero in catene e vuoi fermarti qui per non pagare il pedaggio che spetta al Sàlter! Ascolta, vedi quella roccia ritta verso il cielo? Ebbene, dietro di essa c'è una porta in mezzo ad un prato: lì non entri in un castello, nè in una capanna, né in una stalla, nè in un recinto. Si dice, bada bene: è soltanto una diceria, che chiunque varchi quella soglia entri direttamente dentro se stesso! Straniero, non credo che gli uomini amino sfidarsi nello specchio dell'anima perché, ti assicuro straniero, che a memoria mia nessuno ha mai avuto tanto coraggio! - guarda spavaldo Remigio e aspetta la reazione.
- Bene. Io varcherò la soglia, supererò la prova! Dopo di ciò io sarò il padrone di questa terra, della rupe e della capanna. Voi e la donna lavorerete con me e per me ed il Sàlter non trarrà più benefici dal pedaggio perché i viandanti non saranno più costretti a pagare! Se io dopo esser entrato in quella porta ritornerò tra di voi, sarò la parola di questo vostro Dio e voi mi dovrete obbedienza. Lavoreremo la terra e costruiremo in cima al picco il nostro eremo! –
Si incamminano tutti assieme in silenzio, aggirano la roccia ritta verso il cielo e si fermano al cospetto della porta di legno.
Remigio non è sicuro di essere un uomo determinato, ma non può deludere i due soldati. Inforca le mani sui fianchi, spinge fuori il petto e si pianta a gambe larghe davanti alla porta: la studia.
Finge, sta soltanto prendendo tempo. Non ha mai sentito parlare di questo Dio del Sole ma tant'è, nelle valli che ha percorso non ha forse trovato fedeli di molti altri Dei? E la gente di Taur, non ha un numero quasi sconfinato di divinità? C'è il Fulmine, dio della vendetta, l'Orso, dio della forza, l'Aquila, dea della caccia.. Forse che non c'è posto anche per questo Dio del Sole? Ma questa strana usanza, questa prova della porta è un fatto nuovo, inquietante. Prova a spingere lo sguardo al di là ma non c’è nulla che non sia il prato, i giovani abeti bassi che si perdono poi nel bosco più fitto, le rive ghiacciate del rio Verdes; c'è forse che l'aria ora si è fatta fredda e penetrante e la neve ricomincia a cadere.
È tempo di decidere, anche se non ha scelta. E poi, anche trovasse uno specchio, che cosa deve temere da se stesso?
Il Nemico trema sotto la pelle d'orso - Remigio.. ricorda gli Slavi. Ricorda la Persia!.. -
E poi, anche trovasse un'anima, non basta forse un alito caldo per offuscare uno specchio? Remigio tiene ben stretta la catena, lancia uno sguardo ai due soldati, apre deciso la porta ed entra.
Remigio ed il Nemico scompaiono in un riverbero tremulo. Davide ed Abramo rimangono di qua, gli occhi spalancati, le bocche aperte. Non sanno che fare, cosa pensare, che cosa dire; prudenti, aspettano immobili.
Finché ancora si frantuma la luce e sulla soglia compaiono un uomo dal saio grigio e un orso bruno alla catena. I soldati si gettano a terra tremanti come chiunque durante una eclissi di sole
- Straniero.. Remigio di Taur, sei tu? –
I lumi friggono ormai sulla cera fusa ma la voce del sacerdote non smette di frusciare
- Capisci ora Aricarda? Quella porta è una fonte di energia che lentamente supponiamo si stia spegnendo assieme al legno che marcisce.. Non puoi ridarle vita con nuovi stipiti di granito che resisterebbero ancora secoli e secoli! Quella soglia non è opera di Dio ma nessuno oserà mai abbatterla: lasciamo che sia il Tempo a pensarci –
La monaca abbassa il capo, contrariata e confusa - Ma allora san Romedio non fu sacerdote di Cristo, ministro della nostra Chiesa: è stato illuminato da Mitra, il dio Sole! Perché è diventato oggetto di culto? Perché si parla dei suoi miracoli? Oppure fu convertito più tardi da san Vigilio ? E come fu che questo Remigio, un barbaro violento che viaggiava con un prigioniero alla catena, anche se il nemico più odiato, si trasformò in un uomo docile e religioso: un santo? –
- Piano Aricarda, piano. Questa storia si è trasmessa oralmente e molto si è forse perso, qualcosa si sarà aggiunto. Di quello che sappiamo non c'è certezza, ma la testimonianza dei soldati, Davide ed Abramo che poi diventeranno discepoli fedeli del Santo, dice che l'uomo del saio grigio alla loro domanda liberò l'orso e rispose: "Remigio di Taur non esiste più. Potete chiamarmi Romedio, che significa Eremita, e questo orso mi seguirà anche senza catene affinchè capisca che la libertà non ha bisogno di collari per essere imprigionata" . Capisci? Parole ambigue, sibilline: quale dei due era Remigio e quale il Nemico incatenato? Ma che importa infine, il popolo che viene in pellegrinaggio dalle valli più lontane ha decretato il suo amore per il Santo che viaggiava con l'orso accanto e che ancora si produce in miracoli per loro! Storia e leggenda si intrecciano in una verità desiderata, come una favola per i bambini; soltanto il mistero della porta del Bosco Sacro ci ammonisce sulla nostra ignoranza. Speriamo che un inverno duro e nevoso lo porti con sé. Per ciò che riguarda il tuo portale di granito, il Priore mi ha promesso che farà mostra di sé nella costruenda cappella di san Nicolò: spero che questo ti soddisfi, cosicché non abbia a lamentarti con tuo padre, persona eminente e generosa con la pieve –
La monaca Aricarda bacia la mano del sacerdote, si inchina davanti alla croce e si avvia turbata alla cella dove pregherà prima di riposare perché ha commesso molti, troppi errori.
Scuote la testa appoggiando le ginocchia sulla pietra - Dovrò pregare questa ed altre notti - ma è distratta. Le preghiere percorrono le vie consuete ma la mente ritorna indietro, alla fanciullezza.
La gioventù sbocciata e sfumata in una primavera appena, una breve stagione eterna nei sogni notturni. I prati rigonfi e gli alberi fioriti, la brezza soffice che risale la valle ed i raggi di sole che s'incollano tiepidi alla pelle; il gruppo di giovani amici, figli di nobili e meno nobili, allegri e festanti, pronti a cogliere ogni occasione di svaghi ingenui, senza malizia. Ma è inevitabile qualche sguardo, qualche sospiro, un bacio addirittura.
Al ragazzo sbagliato. Un errore.
Pulsa sotto la pelle candida, pulsa sulla tempia di Aricarda una rossa vena di rancore. È vero, il seme dell'inquietudine è germogliato in lei fin dalla età più tenera; nella mente prima, nel corpo poi. Ma mai, mai!, aveva permesso che trapelasse da sé, che potesse alimentare una voce, un sospetto; fino ad un pomeriggio felice. Chiassoso di giochi e di voci, sfrenato nell'impeto della corsa; fino all'incontro fortuito, fortunato, di due corpi sudati nel buio della stabbia. Non abbastanza buia. Perché, perché? Condannata al primo errore!Errore?
L'alba è appena accennata, la figurina nera che avanza nel chiarore senza profondità dell'inverno sembra un corvo nero che saltella nella bianca neve. Ma la monaca non ha tempo nè voglia di rispettare la compostezza dell'abito che indossa, ha ben altro per la testa.
La neve ghiacciata crepita sotto i passi decisi, il suono rimbalza sulle pareti di roccia su e su, fino a scomparire prudente sotto la roccia del Rifugio.
È davanti alla porta del Bosco Sacro finalmente; Aricarda si guarda attorno circospetta, si ricompone, aspetta finché il respiro si è calmato, poi si avvicina e la mano tocca la serratura ma la mente è tormentata dal dubbio. Che deve fare? Il legno marcio non riuscirà a superare l'inverno e gli uomini lasceranno sparire quel grande dono sotto la neve, il confine tracciato dalla porta si perderà nella prima erba di primavera e quel che è stato è stato. Senza ritorno. Che deve fare?
Ridere, ad esempio. Ride, Aricarda, ride soffocando la bocca con la mano, ride comprimendo gli spasimi del ventre perché non vuole svegliare i frati del Rifùgio, né i sospetti di quel Priore impiccione. Che ne sanno loro, che ne sanno? Che non sappiano! Che cosa credevano, che cosa credono: che lei non sia mai stata tentata dal segreto della porta, che lei non abbia conosciuto il mistero della porta? Che lei non ne abbia mai varcato la soglia?
E Aricarda siede su una gobba di neve ghiacciata ed entra nelle nebbie del ricordo.
– Eccola la porta, padrone, eccola la porta! –
- Venite qua subito ho detto, venite qua demóni, che questo è luogo sacro! Ma perché non c'è nessuno, perché non è venuto nessuno? Non sono questi i patti! – fa schioccare la frusta ed agita i pugni prepotenti, ma arretra e si inginocchia umile quando, come d'incanto, il saio grigio compare sul sentiero - Che fai qui? Questo sentiero è cieco, che vuoi? –
- Perdonate Priore, la monaca ci ha ordinato di abbattere l'antica porta di legno del Sacro Bosco e di trasportarla alla pieve di Sanzeno, con cura di non procurarle alcun danno, quindi di sostituirla con queste travi di granito ben squadrate e con i volti scolpiti di San Romedio ed i suoi compagni, Davide ed Abramo. Ha chiamato me ed i miei giovani faméi perché sono bravo nel lavoro.. La monaca ci disse che l'avremmo trovata qui, ma io non la vedo! –
- Tutto il terreno attorno al rio Verdes appartiene al Rifugio e tu non ci hai chiesto il permesso di transito; tantomeno di fabbricare o disfare ciò che ci appartiene. Gira il carro e vattene –
II saio scompare lungo il sentiero e le parole non ammettono replica
- Forza, forza! Togliete il sacco alle bestie, forza! Girate il carro, via! –
i ragazzi fischiano ed urlano ai buoi mentre l'uomo con la frusta non sa trattenersi dal raggiungere quello che era l'obiettivo della spedizione.
La porta è lì, sul limitare di un bosco fitto di faggi affollati attorno alle acque avare del rio Verdes e non sembra un granché; il legno è fradicio e tarlato, gli infissi scossi dai secoli sembrano cedere al loro stesso peso, la serratura arrugginita. È lì senza una parete, un muro, una staccionata che la sostenga. O che dia uno scopo alla sua presenza.
- Questa vecchia porta è inutile, ma anche una porta nuova di zecca non servirebbe a nulla di più: che cosa avrà in mente la monaca? Il priore di certo lo sa, se ha opposto un rifiuto lo saprà, di certo! Ed io forse ho perso un buon lavoro.. -
La porta è lì, inutile e decrepita ma lui non osa cercare segreti oltre la linea immaginata, immaginaria, del confine che lei non ha in apparenza creato. I ragazzi fischiano e tirano calci ai buoi mansueti, l'uomo ritorna sui suoi passi e fa cantare la frusta.
- No, Aricarda, questa non è un'azione degna di te e della nobile famiglia alla quale tu appartieni.. - la voce del confessore è un fruscio di rondine ma giunge chiara alle orecchie della monaca che a testa bassa ascolta. Nella pieve di Sanzeno pochi ceri tremuli formano appena un presepe nel buio opaco delle navate, non fanno nemmeno brillare i teschi dei martiri adagiati sulle proprie ossa nei sacelli, nè le braccia larghe del Cristo sopra l'altare spoglio, nè gli occhi accesi dentro gli ampi cappucci; solo il sussurro del prete.
- Il Priore del Rifugio è uomo umile e rispettoso dei Sacramenti, ma di buona cultura e non privo del senso di autorità che compete al suo ruolo: egli conosce la storia della porta, egli sa quali sono i confini tracciati da quelle vecchie assi marce.. le tue pietre ornate di sculture non hanno significato, non conoscono la storia, la radice della morte di Remigio nobile di Taur e della nascitadi San Romedio. Solo quelle travi cadenti di secoli possono raccontare un fatto così inaudito.. –
La voce altèra della monaca Aricarda non è incrinata da dubbi.
- Dopo la morte del grande Eremita il Rifugio è rimasto in stato di rovina ed abbandono, alla mercé dei miseri che fuggivano dalle scorribande degli invasori prima e scampo per ladri ed assassini poi: dopo cent'anni dalla grande paura del Mille la Chiesa ha destinato quel luogo sacro a Santuario e ne ha costruito le fondamenta! Perché quell'uomo buono e pio non continua l'opera? Perché il Priore non vuole accettare il mio dono, una nuova porta di granito che sostituisca le assi cadenti e manifesti con il volto dei santi e la croce di Cristo la sacralità del luogo? Che fa lui, materialmente, per innalzare il nome di Dio? –
- Aricarda, Aricarda.. sì, tu hai scelto la pietra ed il colore, hai ordinato allo scultore che cosa ne doveva ricavare, hai spiegato la misura delle altezze; avevi la mente distratta dagli accessi del palazzo della tua famiglia, oppure da quelli del convento! Porte che danno entrata in una stanza, o l'uscita sulla corte, o nella Sala dei convegni, o nelle cucine: ma dalla porta del Bosco Sacro, in che cosa si entra e da che cosa si esce? Non credere che sia qualcosa di simile alla porta della Vallavena situata ai confini del bosco, lassù alle tre ville, per proteggerlo dalla avidità dei contadini e non ha bisogno al tramonto di essere rinchiusa a tre mandate, nè le chiavi devono essere custodite nella sacrestia! La porta del Bosco Sacro è un passaggio verso.. verso.. Come posso spiegarti? Un passaggio diverso! –
- Diverso.. una parola che non spiega. Come potrò non guardare con occhio irato il Priore, uomo che sembra non nutrire pensieri ma soltanto convinzioni? È questa l'unica arma dei Minori quando affrontano ciò che non sanno spiegare? Io riconosco il Mistero del Cristo e mi servo della Fede per entrare in comunione con Lui: oltre all'affronto subìto dal legno della croce, sarà Egli costretto ad essere umiliato ora anche da qualche asse marcia? –
- Non tutto è mistero divino, Aricarda. Non bestemmiare! Ci sono buone ragioni per mantenere segreti che non necessariamente appartengono al Regno celeste.. –
- Certo. Questo vale per i villani, per gli infedeli, per coloro che non si sono avvicinati alle Scritture ed i posseduti dal Diavolo! Devo pensare di essere tenuta in tale considerazione? –
Le mani del sacerdote tormentano la barba fluente
- Bene, non sono sicuro che orecchie di donna, anche se monaca.. questo viene tramandato solo oralmente,capisci?, e la bocca di femmina, si sa.. È un grande onore che ti faccio, un segno di grande fiducia, mi raccomando eh? Aricarda, ascolta questa storia –
Le lame incrociate verso il cielo brillano e vibrano sotto la spinta dei muscoli potenti e della rabbia feroce. Remigio, nobile di Taur, sente che l'avversario sta percedere, che tra poco l'uomo che lui odia più di ogni altro al mondo piegherà le ginocchia, poi la schiena; e glioffrirà il collo. Ai lati della radura gli uomini in arme hanno accettato di buon grado che lo scontro si risolvesse tra di loro, tra i capi di quei due piccoli eserciti di taglialegna, ed ora partecipano con urla di incitamento o di timore all'andamento del duello; l'esito segnerà anche la loro fine o la vita e già qualcuno tenta di allontanarsi non visto. Infine il braccio lascia spossato la presa ed a Remigio non rimane che l'atto che precede la vittoria: il ferro si alza pesante al cielo, ma l'altro non offre il collo. Lo sguardo implorante, ma la voce ferma - Non uccidermi, Remigio. Che te ne fai di un cadavere?-
- Ti uccido perché non odio nessuno più di te, ti uccido perché ti ho sconfitto, ti uccido perché ne ho il diritto: ti uccido perché sono il più forte! -
- Sei il più forte, ma non il più saggio. In ogni valle dai monti Tàuri alle Alpi si raccontano gli scontri e le beffe, i duelli e le battaglie della nostra sfida; sei sicuro di voler scrivere la parola fine alle canzoni che di valle in valle ci rendono famosi? Sei sicuro di volerti liberare di un nemico cosi fiero da fare grande anche te? –
II ferro rimane proteso verso il cielo, senza esitare, ma rimane proteso al cielo. Veloci corrono i pensieri nella mente di Remigio, ma non sono le parole del Grande Nemico ad immobilizzare il braccio. Piuttosto, il ricordo della donna deforme incontrata ai margini della foresta, i suoi capelli grigi arruffati dalle dita sporche. E le sue parole.
"Sei un uomo che brucia i propri talenti! Li consumi uno ad uno e prima o poi non avrai più risorse, sei grande soltanto grazie alla pochezza altrui ma ricorda: il fuoco che ti tiene in vita è alimentato dall'ira verso il Grande Nemico! Se il Destino ti libererà di lui, per te sarà grave danno e finirai nel Nulla prima del tempo che la Natura ti ha riservato.."
Strega maledetta, e se avesse ragione? Ma il momento è delicato e si deve decidere in fretta. L'arma s'infila profonda nel prato.
- Presto voi, portatemi le catene! - un robusto collare di ferro si chiude attorno al collo del Nemico e la catena è fissata corta alla sella del Vincitore - Via, al castello! -
II castello di Taur ha le torri slanciate, il castello di Taur sta sopra un monte e domina valli e valli, sul castello di Taur la neve arriva da nord e la neve arriva da sud; ma il vecchio signore di Taur non ama il panorama. Ha due dolori il vecchio signore, la gotta e l'ultimo figlio: non sa quale faccia più male.
- Un guerriero che non sa uccidere mi mostra orgoglioso la sua magnifica preda: un guerriero che non sa morire.. Ah! E cosa siete venuti a cercare nel mio castello? Un tetto, del cibo, legna da ardere, donne! Ed io in cambio cosa avrò? Disonore! Remigio, o stacchi la testa che sta sopra quel collare o ve ne andate, tu ed il tuo nuovo cane! –
Remigio prepara il cavallo, carica il mulo di viveri e dei pochi averi, fissa la catena alla sella e getta una pelle d'orso al prigioniero. - Metterò il cavallo al passo, quando sarai stanco dammi una voce. Ho deciso che non devi morire: sei stato sconfitto e non ti rimane che ubbidire –
Sono dure le Alpi, dure per i ricchi e per i poveri. Dai boschi intricati alle praterie nevose delle cime; senza piante, senza sorgenti. Poi giù lungo i ghiaioni erti e pietrosi verso morene che seguono inerti i ghiacciai, ancora a scalare passi intravvisti che non offrono sbocchi, che lo costringono a ritornare sui propri passi senza incontrare mai anima; solo il crepitare dei sassi precipitati da zoccoli di stambecchi invisibili e tracce gialle di lupi sulla neve. Talvolta il conforto di un anfratto, una caverna al riparo dagli schiaffi dell'Ostro.
- Remigio, perché scappiamo tanto lontano? Non potevamo svernare in qualche valle laterale di Taur? Non potevamo aspettare la primavera presso qualche bifolco e lasciare che l'ira di tuo padre si sciogliesse assieme alla neve? –
- Io sto scappando, non tu. Tu non conti più nulla, sei mio prigioniero, uno schiavo. Non hai più passato nè futuro, devi solo camminare! Ringrazia gli dei, che quasi ti invidio: io devo pensare, decidere, seguire una direzione, evitare i pericoli, procurare il cibo, accendere ilfuoco.. tu ti limiti appena a seguire le mie impronte. Non stai forse meglio tu? E poi, dimmi la verità, speravi che sbollisse l'ira del vecchio o la mia? Puoi scordartelo, Nemico, puoi scordartelo! L’ira del signore di Taur nasce dalla gotta, la mia dall'odio –
- Remigio, qualche luna prima del duello ho incontrato una carovana di slavi: venivano da non so quale battaglia e proseguivano verso la terra di Persia, verso un'altra guerra. Perché non seguiamo i loro passi? Perchè non tentare la Fortuna? Hanno raccontato di regioni prodighe di ricchezze e di gloria per guerrieri valorosi. Pensa, due come noi.. –
- Basta! Finché avrai la catena attorno al collo non osare mai di metterti sul mio stesso piano! Per il momento sono il caso e l'orgoglio a tracciare il mio cammino! Che sarà anche il tuo! Ora tieni a freno la lingua se non vuoi che ti stringa il collare attorno alla bocca, raccogli la tua pelle e preparati, si riparte –
Alla fine il piano, un fiume, qualche villaggio, il ristoro delle comunità ma anche lo stupore, l'ostilità verso quello straniero che si porta appresso un uomo in catene. E allora via, ancora su; altri passi, altri monti fino alla valle dei Nones. Una valle larga e luminosa, cosparsa di rade ville disperse come massi erratici rotolati dal Caso, povera di viandanti e ricca di rape.
È stanco Remigio, come il cavallo, il mulo e il Nemico quando arrivano nella stretta valletta. Da lontano ha visto del fumo: qualcuno ci deve essere se ha acceso il fuoco nella neve alta, qualcuno ci sarà se nell'aria c’è odore di grasso di porco.
Ecco, proviene da lassù, da quel picco ripido ed il cavallo infila da solo il sentiero fangoso ed erto che porta alle mura basse ricoperte da un tetto di fieno fradicio di neve che scioglie. Libera il mulo ed il cavallo da soma e finimenti, li spinge nel riparo scassato della mangiatoia, getta le casse dei suoi averi in un angolo, non dimentica la catena ed entrano nel rifugio.
Nella stanza buia e puzzolente il fumo è denso e rancido, la vecchia risveglia il fuoco sventolando una frasca di pino ed al tavolo siedono due uomini; indossano pelli pesanti contro il freddo ma sul fianco le mani indugiano sull'elsa di corte spade. Soldati?
- Voglio mangiare, vecchia. Cosa mi puoi dare? –
- Minestra di rape, mezza coscia di maiale. E tu, cosa mi puoi dare? –
la donna carezza con mani avide la pelle che copre l'uomo in catene
- Per questa coperta posso farti dormire sulla paglia, strigliare le bestie e lavare i panni se ne hai.. Se mi lasci anche quello che c'è dentro la pelle d'orso aggiungerò pure qualche provvista per il viaggio, ah ah! È un bell'uomo, forte.. –
Anche i due soldati ridono - Cosa te ne fai di un nuovo servo, Pillona, non ci siamo già noi? Ah ah, la vecchia vuole carne fresca! –
Ma Remigio non sorride; non gli piacciono gli scherzi, non si fida dell'allegria. Dalle sue parti una risata in libertà può staccare una valanga di neve, mettere in fuga un camoscio a tiro d'arco, irritare un orso affamato, attirare un branco di lupi feroci, interrompere il canto d'amore del gallo cedrone: sopra tutto, scatenare l'ira terribile del vecchio signore di Taur, corroso dal sidro e dalla gotta
- Vecchia, ti lascerò i finimenti del cavallo: un po' di cuoio è sufficiente per qualche rapa e un osso di porco. Se tratterai bene le bestie forse ti darò anche una fibbia di bronzo, ma non farci conto -
I soldati si agitano sulla panca - Fai bene a non essere troppo generoso straniero, perché se vuoi proseguire il tuo cammino dovrai lasciare qualcosa anche a noi –
- Questa è una stazione di pedaggio? –
- Certo. Per chi sale verso il monte Roen, per chi scende verso il fiume Noce il passaggio è obbligato: e obbligatorio è il pedaggio in denaro o in beni che chiunque è tenuto a versare. E tutto va a finire nelle tasche del Sàlter, l'esattore del Regno. Nessuno sfugge, noi siamo qui per questo. La vecchia ci è testimone! –
- E se io rimango qui, che facciamo? Se io non transito nè verso il fiume nè verso il monte, devo pagare il pedaggio? –
I soldati si guardano sorpresi. Già, che si fa? Il più anziano si liscia la barba e scruta Remigio con due lingue di fuoco - Tu vieni dal popolo di là delle Alpi, vero? Il popolo degli uomini muti.. che poco conosce l'uso della parola, che non ride, che non sa scrivere, però tu hai parlato come un mercante d’oriente.. hai viaggiato? –
- Questo è il mio viaggio e sembra sia già finito –
- Amico, non so se è cosi semplice: potrei andare fino al castello del Sàlter a chiedere consiglio, ma ci vogliono tre ore di cammino. Fuori fa freddo, c’è la neve.. Non rimane che il giudizio del Sole, è più sbrigativo –
Dopo aver mangiato e parlato, i tre uomini ed il prigioniero escono dalla capanna lurida e scendono nella stretta valle del rio Verdes fino ad una radura senza erba nè piante, sovrastata da una parete sporgente di calcare che lascia filtrare l'acqua e la ragnatela di radici degli abeti che stanno sopra, sul bosco ripido che prosegue nel monte; nel mezzo una roccia piatta, larga e liscia attorno alla quale potrebbe sedere una decina di ospiti, di lato un'altra roccia appuntita verso il cielo. Sembra un piccolo teatro naturale, riparato dalle rocce incombenti che lo sovrastano; sembra nudo di Natura come se l'Energia che serve all'erba per crescere ed alle piante per svilupparsi fosse assorbita da quella grande roccia bianca; sembra un luogo apparso da un altro mondo, una magia senza eguali.
Sembra quello che è, in verità.
- Questa è la roccia sacra dalla quale, per volere del Padre, nacque Mitra, dio della luce! Nel giorno in cui il sole compie nel ciclo il percorso più lungo qui viene ucciso un toro e sulle rive del Verdes si battezzano i fedeli, ho detto bene Davide? –
- Certo Abramo, ma parlagli della porta, parlagli della porta! –
- Ah, la porta.. - Abramo si accarezza la barba e passeggia attorno alla roccia piatta, con gesti ampi e pomposi di cui soltanto i sacerdoti ed i mercanti sono capaci, di cui sono capaci le persone che mentono o che vogliono farsi gioco dei villani
- La porta, il giudizio del Sole! Io non so se sono nel giusto, se mi comporto secondo le Regole: certo tu non sei stato battezzato con l'acqua nè col fuoco, le tue mani non sono state unte di miele e non hai mangiato il pane sacro, nè bevuto il vino annacquato. Non hai percorso nemmeno uno dei sette gradi che permettono di arrivare al cospetto del Padre! Ma sembri un uomo determinato: hai una spada, un prigioniero in catene e vuoi fermarti qui per non pagare il pedaggio che spetta al Sàlter! Ascolta, vedi quella roccia ritta verso il cielo? Ebbene, dietro di essa c'è una porta in mezzo ad un prato: lì non entri in un castello, nè in una capanna, né in una stalla, nè in un recinto. Si dice, bada bene: è soltanto una diceria, che chiunque varchi quella soglia entri direttamente dentro se stesso! Straniero, non credo che gli uomini amino sfidarsi nello specchio dell'anima perché, ti assicuro straniero, che a memoria mia nessuno ha mai avuto tanto coraggio! - guarda spavaldo Remigio e aspetta la reazione.
- Bene. Io varcherò la soglia, supererò la prova! Dopo di ciò io sarò il padrone di questa terra, della rupe e della capanna. Voi e la donna lavorerete con me e per me ed il Sàlter non trarrà più benefici dal pedaggio perché i viandanti non saranno più costretti a pagare! Se io dopo esser entrato in quella porta ritornerò tra di voi, sarò la parola di questo vostro Dio e voi mi dovrete obbedienza. Lavoreremo la terra e costruiremo in cima al picco il nostro eremo! –
Si incamminano tutti assieme in silenzio, aggirano la roccia ritta verso il cielo e si fermano al cospetto della porta di legno.
Remigio non è sicuro di essere un uomo determinato, ma non può deludere i due soldati. Inforca le mani sui fianchi, spinge fuori il petto e si pianta a gambe larghe davanti alla porta: la studia.
Finge, sta soltanto prendendo tempo. Non ha mai sentito parlare di questo Dio del Sole ma tant'è, nelle valli che ha percorso non ha forse trovato fedeli di molti altri Dei? E la gente di Taur, non ha un numero quasi sconfinato di divinità? C'è il Fulmine, dio della vendetta, l'Orso, dio della forza, l'Aquila, dea della caccia.. Forse che non c'è posto anche per questo Dio del Sole? Ma questa strana usanza, questa prova della porta è un fatto nuovo, inquietante. Prova a spingere lo sguardo al di là ma non c’è nulla che non sia il prato, i giovani abeti bassi che si perdono poi nel bosco più fitto, le rive ghiacciate del rio Verdes; c'è forse che l'aria ora si è fatta fredda e penetrante e la neve ricomincia a cadere.
È tempo di decidere, anche se non ha scelta. E poi, anche trovasse uno specchio, che cosa deve temere da se stesso?
Il Nemico trema sotto la pelle d'orso - Remigio.. ricorda gli Slavi. Ricorda la Persia!.. -
E poi, anche trovasse un'anima, non basta forse un alito caldo per offuscare uno specchio? Remigio tiene ben stretta la catena, lancia uno sguardo ai due soldati, apre deciso la porta ed entra.
Remigio ed il Nemico scompaiono in un riverbero tremulo. Davide ed Abramo rimangono di qua, gli occhi spalancati, le bocche aperte. Non sanno che fare, cosa pensare, che cosa dire; prudenti, aspettano immobili.
Finché ancora si frantuma la luce e sulla soglia compaiono un uomo dal saio grigio e un orso bruno alla catena. I soldati si gettano a terra tremanti come chiunque durante una eclissi di sole
- Straniero.. Remigio di Taur, sei tu? –
I lumi friggono ormai sulla cera fusa ma la voce del sacerdote non smette di frusciare
- Capisci ora Aricarda? Quella porta è una fonte di energia che lentamente supponiamo si stia spegnendo assieme al legno che marcisce.. Non puoi ridarle vita con nuovi stipiti di granito che resisterebbero ancora secoli e secoli! Quella soglia non è opera di Dio ma nessuno oserà mai abbatterla: lasciamo che sia il Tempo a pensarci –
La monaca abbassa il capo, contrariata e confusa - Ma allora san Romedio non fu sacerdote di Cristo, ministro della nostra Chiesa: è stato illuminato da Mitra, il dio Sole! Perché è diventato oggetto di culto? Perché si parla dei suoi miracoli? Oppure fu convertito più tardi da san Vigilio ? E come fu che questo Remigio, un barbaro violento che viaggiava con un prigioniero alla catena, anche se il nemico più odiato, si trasformò in un uomo docile e religioso: un santo? –
- Piano Aricarda, piano. Questa storia si è trasmessa oralmente e molto si è forse perso, qualcosa si sarà aggiunto. Di quello che sappiamo non c'è certezza, ma la testimonianza dei soldati, Davide ed Abramo che poi diventeranno discepoli fedeli del Santo, dice che l'uomo del saio grigio alla loro domanda liberò l'orso e rispose: "Remigio di Taur non esiste più. Potete chiamarmi Romedio, che significa Eremita, e questo orso mi seguirà anche senza catene affinchè capisca che la libertà non ha bisogno di collari per essere imprigionata" . Capisci? Parole ambigue, sibilline: quale dei due era Remigio e quale il Nemico incatenato? Ma che importa infine, il popolo che viene in pellegrinaggio dalle valli più lontane ha decretato il suo amore per il Santo che viaggiava con l'orso accanto e che ancora si produce in miracoli per loro! Storia e leggenda si intrecciano in una verità desiderata, come una favola per i bambini; soltanto il mistero della porta del Bosco Sacro ci ammonisce sulla nostra ignoranza. Speriamo che un inverno duro e nevoso lo porti con sé. Per ciò che riguarda il tuo portale di granito, il Priore mi ha promesso che farà mostra di sé nella costruenda cappella di san Nicolò: spero che questo ti soddisfi, cosicché non abbia a lamentarti con tuo padre, persona eminente e generosa con la pieve –
La monaca Aricarda bacia la mano del sacerdote, si inchina davanti alla croce e si avvia turbata alla cella dove pregherà prima di riposare perché ha commesso molti, troppi errori.
Scuote la testa appoggiando le ginocchia sulla pietra - Dovrò pregare questa ed altre notti - ma è distratta. Le preghiere percorrono le vie consuete ma la mente ritorna indietro, alla fanciullezza.
La gioventù sbocciata e sfumata in una primavera appena, una breve stagione eterna nei sogni notturni. I prati rigonfi e gli alberi fioriti, la brezza soffice che risale la valle ed i raggi di sole che s'incollano tiepidi alla pelle; il gruppo di giovani amici, figli di nobili e meno nobili, allegri e festanti, pronti a cogliere ogni occasione di svaghi ingenui, senza malizia. Ma è inevitabile qualche sguardo, qualche sospiro, un bacio addirittura.
Al ragazzo sbagliato. Un errore.
Pulsa sotto la pelle candida, pulsa sulla tempia di Aricarda una rossa vena di rancore. È vero, il seme dell'inquietudine è germogliato in lei fin dalla età più tenera; nella mente prima, nel corpo poi. Ma mai, mai!, aveva permesso che trapelasse da sé, che potesse alimentare una voce, un sospetto; fino ad un pomeriggio felice. Chiassoso di giochi e di voci, sfrenato nell'impeto della corsa; fino all'incontro fortuito, fortunato, di due corpi sudati nel buio della stabbia. Non abbastanza buia. Perché, perché? Condannata al primo errore!Errore?
L'alba è appena accennata, la figurina nera che avanza nel chiarore senza profondità dell'inverno sembra un corvo nero che saltella nella bianca neve. Ma la monaca non ha tempo nè voglia di rispettare la compostezza dell'abito che indossa, ha ben altro per la testa.
La neve ghiacciata crepita sotto i passi decisi, il suono rimbalza sulle pareti di roccia su e su, fino a scomparire prudente sotto la roccia del Rifugio.
È davanti alla porta del Bosco Sacro finalmente; Aricarda si guarda attorno circospetta, si ricompone, aspetta finché il respiro si è calmato, poi si avvicina e la mano tocca la serratura ma la mente è tormentata dal dubbio. Che deve fare? Il legno marcio non riuscirà a superare l'inverno e gli uomini lasceranno sparire quel grande dono sotto la neve, il confine tracciato dalla porta si perderà nella prima erba di primavera e quel che è stato è stato. Senza ritorno. Che deve fare?
Ridere, ad esempio. Ride, Aricarda, ride soffocando la bocca con la mano, ride comprimendo gli spasimi del ventre perché non vuole svegliare i frati del Rifùgio, né i sospetti di quel Priore impiccione. Che ne sanno loro, che ne sanno? Che non sappiano! Che cosa credevano, che cosa credono: che lei non sia mai stata tentata dal segreto della porta, che lei non abbia conosciuto il mistero della porta? Che lei non ne abbia mai varcato la soglia?
E Aricarda siede su una gobba di neve ghiacciata ed entra nelle nebbie del ricordo.