Il gatto è acquattato nell’erba del prato tra sterpi e rovi, ferraglia arrugginita ed intonaco scrostato, plastica stracciata e tubi corrosi. Si direbbe che la preda è lì, vicina, a portata di zampa; un topo, una cavalletta, una lucertola o una qualunque di quelle bestiacce che pullulano la jungla. Ma non me ne può importare di meno; sono le sette del mattino ed anche una domanda oziosa è pesante a quest’ora. Sì, io sono uno di quelli che pensano che alle sette del mattino tutto il mondo odi se stesso e che le guerre, le pestilenze, i terremoti, tutto ciò insomma che affligge l’umanità sia nato, e nasca, esattamente a quest’ora.
E me ne sto alla finestra, a guardare storto un gatto che non conosco ed a chiedermi perchè mi sono svegliato, consapevolmente suppongo, ad un’ora che mi detesta. Devo forse andare al lavoro? No, sono in ferie. Ho forse preso un impegno con qualcuno, qualcuno al quale tengo particolarmente? Neppure, tutti al mare. E allora? Ah già, devo rinnovare il passaporto.
Gli uffici della questura.. bah. Rumori: dita che battono impacciate vecchi tasti e suole di cuoio che limano pavimenti, antiquariato. Le automobili hanno i lampeggianti a specchio ma pneumatici lisci: odore di burocrazia. Chissà le domande in carta semplice e bollata per ottenere un cambio gomme.. a proposito, spero di non aver dimenticato niente: passaporto, marche da bollo..
- Scusi, l’Ufficio passaporti -
- Primo corridoio a sinistra, terza coda a destra -
La fila alle sette del mattino, alle sette del mattino! Mi arrendo all’evidenza e mi appoggio alla parete osservando ben bene la schiena di chi mi precede. Seguendo lui arriverò alla mèta senza discussioni sulle precedenze.
È un africano dall’aria spaesata e spossata, credo anche di conoscerlo di vista, o perlomeno di ricordare che abita nel vicolo dirimpetto casa mia, aldilà del praticello fetido che una vecchia zitella parente di scorpioni e scarafaggi non vuole cedere all’asfalto.
Una piccola comunità di ganesi, operai del marmo, un lavoraccio. Gente tranquilla che non fa casino a parte le marmitte dei loro trabiccoli. Direi proprio che è uno di loro e non c’è niente di strano nella sua presenza in questura perchè è il periodo in cui questa gente sta per partire per l’Africa a farci le ferie, a rivedere le madri, le sorelle e i fratelli che di solito sono una tribù intera, a riempirsi lo stomaco di pesce secco e gli occhi di tramonti. E si vede lontano un chilometro che non stanno più nella pelle per l’eccitazione quando scaricano dai loro trabiccoli sacchi di riso, scarpe, pentole, giubbini, frigoriferi. Ma come faranno a portarsi appresso tutta quella roba?
Sarebbe anche gente simpatica se non avesse quell’accento gutturale che sembra di Bergamo.
La coppia di questurini risale la fila con l’aria indolente e padrona di chi è con certezza sul territorio di competenza, mi sorpassa di appena un passo ed all’altezza dell’africano si ferma e gli sbatte un foglio sotto il naso
- Sei tu Jean e tutto il resto? -
- Sono Jean Kufour, no tuttoresto -
- Esatto, Jean tuttoresto, sei in arresto - e lo prendono sottobraccio spingendolo tranquilli nel ventre molle, nel dedalo inquietante della questura.
Cavolo, è vero che ho guadagnato un posto nella fila ma ci sono rimasto male: che sarà successo mai?
Non sono affari miei, mi incollo alla schiena successiva e prendo da tasca il quotidiano della nostra bella città.
“IL MISTERO DEL VICOLO. Scomparsa una giovane di colore: riti vodoo?”
Questa poi, a due passi da casa mia!
Il passaporto è a posto, il giornale sgualcito riposa ormai in un cestino ed io ho una intera giornata di beato nulla davanti: che fare? beh, potrei fare un salto all’osteria del vicolo, a farmi un caffè, a sentire che si dice.
Il vicolo in questione è cieco, reso angusto dalle automobili parcheggiate più che dalle facciate invecchiate delle case che lo sovrastano. C’è un’aria allegra, di solito, ma oggi è tutta un’altra storia.
Tanto per cominciare i lampeggianti della volante che rendono l’aria elettrica, poi l’osteria silenziosa. Piena di gente ma vuota di parole, incredibile.
Dietro il banco l’oste ostenta un’espressione da silenzio stampa, un’aria irritante da confidente che ti fa l’occhietto ma tiene l’acqua in bocca: gli ordini sono ordini e finchè quella volante non sgomma via..
Mi accomodo con la mia tazzina vicino ad un tavolo di briscola, mescolo ed aspetto. Fiducioso.
- Ma tienila in mano quell’asse di coppe, tienila in mano.. -
- Ma cosa tengo, o l’asso o la briscola.. -
- Ma ce l’ho io la briscola: prendo di re e torno a coppe, no? Ma perchè gioco in coppia con uno che non capisce un.. -
Il tono delle voci si è alzato e finalmente, come ad un segnale, nell’osteria si ritorna alla normalità. All’angolo del mio tavolo c’è l’Arnoldo, il barbiere. Uno strano giovane, in lotta con il mondo o forse con la natura che non l’ha dotato. È probabilmente la sua testolina perfettamente calva china sul bicchiere la causa di un mestiere intrapreso con la determinazione e la ferocia degne di un sioux: ed infatti nel quartiere tutti lo chiamano Kociss.
- Arnoldo, che ci fai al bar a quest’ora? - l’altro allarga le braccia come dire: è lunedì.
È vero, perdio, sono io che non dovrei esserci.
- Ma hai sentito di questa storia delle ragazze scomparse? Ho preso una settimana di ferie, stamattina sono andato in questura per il passaporto e lì ho saputo tutto: pensa che hanno arrestato un nero sotto i miei occhi! Davanti a me! -
Questa l’Arnoldo non se l’aspettava. Da un cliente che non ha mai fatto nè shampoo nè frizione ma, soprattutto, non parla nè di calcio nè del tempo questa non se l’aspettava.
- Cosa..? Hanno arrestato qualcuno.. e tu l’hai visto? Ma racconta, no? -
- No, non è leale. Prima voglio sapere che cosa è successo -
- Niente, non è successo niente. Nella palazzina accanto ci sono due appartamenti di ganesi, quanti sono non lo sa neppure il padrone di casa, comunque gente che lavora, eh? Ieri, domenica, tutto il gruppo è uscito per non so quale festa terzomondana e sembrava l’ultimo di carnevale: canti, richiami, vestiti dai colori sgargianti. Soltanto Guendalina se ne è voluta restare a casa. Quando sono rientrati lei non c’era più. L’hanno cercata dappertutto, hanno fatto un casino infernale ma niente. Scomparsa nel nulla. -
- Beh, ho capito, è scomparsa, ma cosa c’entrano i riti vodoo ? -
- Iiiih, si parla di africani, no? Lo sai come sono i giornali.. -
- Questi scimmioni retrogradi sono convinti che qualcuno ha fatto loro un “grigrì” e so di cosa parlo perchè ho fatto la campagna d’Africa, io! -
Il vecchio Anselmo si è seduto al nostro tavolo. Silenzioso come un fantasma, ipotesi che qualcuno ritiene fondata perchè nella sua falegnameria i vecchi macchinari sputano ogni santo giorno sacchi di segatura e lamenti di seghe rotanti ma lui, in apparenza, non c’è mai: sulla porta un perenne “torno subito”, silenzioso come un fantasma dicevo è comparso sulla sedia accanto
- ..e sapete che cos’è un “grigrì”? Una maledizione, una stregoneria e queste sono cose religiose, mica uno scherzo. Mi ricordo nel ‘36, in un’oasi del Sahara.. -
- A proposito di Sahara, ci è venuta una sete.. Arcibaldo, porta da bere - quelli della briscola evidentemente la conoscono a memoria la storia del deserto. Il pancione di Arcibaldo traballa assieme al vassoio quando la porta si apre con cautela e due occhi bianchi si affacciano spauriti nell’osteria
- Capo, posso mettere un manifestino? È la foto di Guendalina, posso attaccarla sulla porta? -
- Ma.. Archimede, certo che puoi, ma a che serve? Qui la conoscono tutti, a che serve la sua foto? -
Il vecchio africano si accascia affranto sul banco e tutti gli si fanno attorno
- Su, su Archie, non fare così, vedrai che tutto si risolverà... - parole di conforto, di commiserazione, di commozione, di compassione. Poi la curiosità prevale
- Ma la polizia cosa dice.. chi l’ha vista per ultimo.. aveva un moroso.. si faceva le canne.. siete cristiani o mussulmani.. non è che ve la siete mangiata.. -
- La polizia dice che segue tutte le piste: siamo tutti sospettati -
- Come sarebbe a dire “siamo”, “siete” sospettati! -
- No, no. Siamo. - e se ne esce, con la foto in mano.
La porta si richiude e l’osteria ripiomba nuovamente nel silenzio, di stupore questa volta.
- Ma.. ma come possono sospettare di noi? E poi, che cosa intendono per “noi”? Se intendono i clienti di questa onorata osteria non potrebbero cascare peggio: siamo o non siamo tutte persone nate e vissute qui, in questa città, siamo o non siamo uomini dalla vita specchiata, dalla fedina penale pulita? - Sandro, custode di un labirinto sotterraneo che nel medioevo era una probabile fogna della città ma che ora ostenta una pomposa insegna al neon con la scritta GARAGE, si è messo in piedi sopra una sedia e parla con un tono altamente indignato - Se non si trova un rimedio a queste frontiere colabrodo, se non si ferma quest’orda barbarica che ci sta invadendo dove andremo a finire?-
- In galera - quelli del tavolo delle carte, i soliti cinici. - In galera certo, se scoprono che è stato qualcuno di noi a fare del male alla ragazzina lo sbattono in galera. Una decisione ovvia, cosa c’entrano le frontiere e le orde barbariche? -
- E no, no! Il popolo di questa osteria è sintesi di generazioni native del posto, indigene! Noi siamo nati e vissuti qui, abbiamo respirato l’aria del fiume e mangiato il pane del forno di Aldo dalla nascita: questa è la nostra patria, chi non è dei nostri se ne vada! -
Gli sguardi della platea non sembrano particolarmente impressionati dalla concione, ciononostante puntano all’unisono verso il punto più buio della stanza. Mustafà se ne sta lì, con i tappeti ripiegati sopra il tavolo e l’aria tranquilla. La pelle olivastra ed i capelli ricci e bianchi
- Sono tanti anni che respiro l’aria del fiume e mangio il pane di Aldo. Sono anch’io un indigeno. -
E Aldo conferma, l’aria assonnata e la canottiera color farina, ma dal tavolo delle carte scatta la risata
- Ah, ah! È fuori dubbio che Alì è un vero indigeno, marocchino però: e cosa vuole, la doppia cittadinanza? Indigeno di qui e indigeno di lì! Ah, ah! -
La porta si apre con una ventata maleducata ed un giovane dal trench carico di giornali, bloch notes e telefonini si accomoda al banco
- Un caffè, per favore -
Arcibaldo lo squadra di sbieco mentre carica la macchina
- Liscio o corretto.. ma tu non sei il figlio di Maria, la sarta? Ma cosa fai qui, sei un questurino? -
- Sì, sì, sono il figlia della Maria, la conosceva? -
- Ma come la conoscevo.. tutti qui l’hanno conosciuta, vero ragazzi? - un coro unanime di assensi e consensi
- Gran donna tua madre, ma raccontaci di te. Perchè sei capitato nel vicolo proprio oggi? -
- Faccio il giornalista, sono venuto per la storia della ragazza -
- Ah, e cosa si dice di bello di questa storia? Che dicono le nostre autorità? -
- Beh, sono notizie riservate, capirete.. -
- Ma come riservate, se arrivano alle orecchie di un giornalista cosa vuoi che siano riservate?! Su, su, racconta! -
- Oddio.. che non si sappia in giro, eh? È arrivata una richiesta di riscatto -
- Riscatto? -
- Esatto. Una lettera che chiede un sacco di soldi ma, pensate, è quasi firmata! In fondo alla richiesta c’è una A e tutti pensavano che fosse una sigla anarchica, invece la A è puntata, come fosse l’iniziale di un nome, mi capite? Il nome di quello che l’ha rapita comincia per A! -
Un brivido percorre gli sguardi sbalorditi dei presenti, un brivido ed un silenzio tenace che si blocca sulle punte delle lingue finchè il giornalista non paga il caffè e non porta il trench affollato di notizie fuori, nel vicolo, al giornale.
- Hai capito.. avete capito adesso perchè il vecchio Archimede ha detto:”siamo”? -
Tutti scuotono il capo, ostinati
- Io mi chiamo Arnoldo, poi c’è Anselmo, Arcibaldo, Aldo, Alì Mustafà.. tu come ti chiami? -
Lo guardo come dire: ma che vuoi, non sono mica un abitante del vicolo, io!
- Beh, mi chiamo Andrea.. -
Il garagista si dimena sulla sedia
- Non è che voglio battere il tasto sulla questione, ma anche il padre della ragazza si chiama Archimede. Archimede, mi spiego? Non è che voglia difendere voi indigeni a tutti i costi ma.. -
- Scusa indigeno delle fogne ma non è che Sandro, per caso, sta per Alessandro? E poi, che interesse dovrebbe avere il padre della ragazza a chiedere un riscatto.. che dovrebbe pagare lui stesso? -
Adesso sono io ad alzarmi ed a prendere in pugno la situazione
- Ma insomma, gente, la storia del riscatto non sta in piedi: io non conosco quella gente, ma il giornalista ha parlato di una richiesta di un sacco di soldi. Ora, secondo voi, quanto potrebbero sborsare questi ganesi per riavere la ragazza? Secondo me poco, ma proprio poco!-
Un sospiro di sollievo si diffonde tra le boccate dense di emmesse - Ma certo che diavolo, quella lettera è una bufala. Chi volete che possa chiedere un riscatto a quei poveracci? -
- È chiaro che è così, però questo signor A. è evidentemente uno sciacallo, qualcuno che approfitta del dolore di quella gente perciò vi dico: noi dobbiamo fare qualcosa perchè nessuno, e sottolineo nessuno, possa pensare che chiunque di noi possa aver fatto qualcosa del genere! -
- Ma noi, che possiamo fare? -
- Risolvere il caso, arrivare alla soluzione, trovare il colpevole e prima che finisca nelle mani della giustizia giudicarlo e condannarlo qui, nell’osteria, nel cuore della città! -
Che strana giornata. Il tempo mi è sfuggito di mano, come si converrebbe ad una vera giornata di ferie per la verità, ma quello che è successo mi ha spinto in una dimensione eccitante e tenebrosa, molto ma molto più interessante di un bagnetto nel caldo brodo del mare Adriatico. Nel bar le discussioni e le ipotesi, le liti ed i vaffa si sono sprecati ma ora mi ritrovo finalmente nella calma penombra della mia stanza. A ripensare a questa storia.
Punto primo, la richiesta di riscatto è fasulla, ma dimostra che nel vicolo o dintorni si annida un vero serpente; punto secondo, nella concitazione abbiamo dimenticato l’arresto al quale ho assistito ma, per la verità, non ho nessuna certezza che fosse legato al rapimento della ragazza; punto terzo, sono curioso di verificare se le forze unite dell’osteria, con il loro patrimonio di pettegolezzi, calunnie e sottintesi, sapranno battere sul tempo le forze di polizia.
Mi affaccio alla finestra rivolta verso il vicolo, a guardarlo, a scrutarlo ben bene, a chiedergli di lasciar trapelare uno spiraglio dalle facciate scrostate; nel prato, intanto, il gatto è sempre lì al solito posto; assieme ad un corvo ed un paio di merli. Che diavolo stanno facendo? È una faccenda strana, forse insignificante ma ormai la scintilla del sospetto è scattata in me. Così mi infilo un paio di stivaletti da orto e scendo giù, nel prato.
Filo, spinato e arrugginito, rovi, resti organici ed inorganici, topi morti e ratti vivi: se nel Vietnam gli americani facevano uso di napalm, forse, non avevano in dotazione stivaletti come i miei.
Tra le ortiche e la gramigna il gatto tiene gli occhi semichiusi e la pancia gonfia all’aria, e rivolti al cielo sono pure i becchi gialli degli uccelli neri. Che schifo.
In mezzo a loro c’è una buca rossastra, nella terra smossa una lattigine verdastra, budella forse. Che schifo. I miei stivaletti prendono il volo, corrono veloci verso il vicolo, s’infilano nell’osteria. Finalmente dentro il bagno, vomito.
Finalmente esco, un ritorno alla vita. Mi aspetto di trovare tutta l’osteria fuori della porta del bagno a chiedermi come sto, che cosa è successo, perchè sono così pallido e sudato; nulla di tutto ciò. Solo le voci del tavolo delle carte, solo i problemi di un asso di coppe.
- Arcibaldo ascolta, c’è un problema.. - l’oste si avvicina circospetto, forse per via dell’abitudine piuttosto diffusa tra gli abitanti della zona a chiedere prestiti - Arcibaldo, ho trovato un cadavere.. l’ho visto, sangue e budella.. che schifo! -
- Cosa?! Ma dove, come, di cosa stai parlando? -
- ..nel prato, quella cosa è nel prato.. -
E quella che sembrava a me bieca indifferenza si è trasformata come d’incanto nell’alito ansimante ed ansioso dei presenti che mi soffia sul collo. E quando parlo di alito intendo proprio usi e costumi alimentari delle famiglie del vicolo, in particolare dell’ultimo pranzo.
Il sole è ormai al tramonto, le finestre dei dintorni mandano bagliori neutri da tubo catodico: nessuna donna che stende i panni, nessuna madre che chiama a casa i figli, nessun padre stanco che assapora il fumo della sigaretta al balcone, neanche una nonna che cerca il gatto. Una nebbiolina di calore avvolge il gruppo dell’osteria che circonda circospetto il buco rossastro, gli animali ormai gonfi sull’erba umida
- ‘azzo, è proprio vero! - poi silenzio, tutti ammutoliti.
È l’Arnoldo a rompere gli indugi
- Che.. che sia Guendalina? E chi altrimenti? Bisogna chiamare la polizia, subito! -
- No, no, calma.. non ci siamo forse impegnati a risolvere noi, l’osteria, questo caso? Se.. se chiamate la polizia.. pensateci.. le nostre iniziali cominciano tutte per A, ricordate?, se adesso risultasse che oltre a questa coincidenza siamo noi, proprio noi a scoprire il cadavere.. non è meglio prendere tempo, riflettere? - L’Arcibaldo dimostra di avere anche cervello, oltre alla trippa.
Il garagista approva con fermezza e spirito concreto
- Certo, hai ragione. In garage ho una lastra di ferro: buttiamo queste bestiacce tra i cespugli e copriamo il cadavere. Quando avremo deciso qualcosa avviseremo la polizia. -
Nessuno discute. Veloci e organizzati come un plotone di fanteria ci sbarazziamo dei corpi degli animali e ricopriamo il buco. Poi tutti all’osteria, il nostro rifugio, il nostro covo.
- ..ma è evidente, se quelle bestie sono morte cibandosi della carne di quel cadavere, significa che Guendalina è stata avvelenata! -
Sì, non ci sono altre spiegazioni. Qualcuno ha avvelenato la ragazza ed ha sepolto il corpo nel prato. Che triste fine. Ormai la questione ha preso una piega troppo grande per noi, per le nostre chiacchere da osteria: non rimane che mettere tutto in mani più esperte .
- Gente, secondo me è meglio chiamare la polizia. Una cosa è fare i boy scout per aiutare quegli africani, un’altra è un omicidio! O vogliamo finire nei guai? -
L’Arnoldo scuote il capo, dubbioso
- Forse ha ragione Andrea, o forse no perchè occultando quella buca ci siamo già messi nelle rogne.. però da soli non ce la faremo mai a scoprire il colpevole: e se facessimo finta di niente, se ce ne fregassimo? -
Alì ha un sussulto, rovescia la sedia ed i tappetti a terra e sale sulla panca
- Ma come?! Ma che razza di persone siete? Ah già, indigeni.. ma in quel buco c’è una persona, l’avete dimenticato? Finchè si trattava di giocare a guardie e ladri eravate tutti contenti, tanto era soltanto una ragazzina nera: adesso che è finita un palmo sottoterra ve la fate tutti addosso! Non è giusto e se non facciamo qualcosa io spiffero tutto a chi di dovere! -
Ben detto, vecchio Alì.
- Un “grigrì”, una maledizione, non ve l’avevo detto? Ecco cos’è questa storia, una maledizione che si ritorce contro di noi! Alla larga! -
- E piantala Anselmo con questa menata. Secondo me dobbiamo avvisare il padre della ragazza, il vecchio Archimede, poi penserà lui al da farsi. Non possiamo fregarcene e non possiamo nemmeno prendere lezioni da un marocchino, parola di Kociss -
Archimede si affaccia alla porta con i soliti occhi spalancati, sorpreso, incerto. E la sua incertezza rischia di aumentare, diventare paura davanti al silenzio di tutti noi. Già, nessuno ha deciso chi gli dovrà dare la notizia e allora mi faccio avanti io
- Senta signor Archimede.. noi..-
- Sapete qualcosa di Guendalina? Ero a metà della cena, perchè mi avete chiamato qui? -
- Beh, vede, non è facile.. sapesse, laggiù, nel prato.. -
Non so come dirlo, non so da che parte cominciare e, soprattutto, come finire ma, proprio in quel momento la porta si apre improvvisa e due occhi bianchi, una faccetta nera incorniciata da treccine colorate, una figurina smilza in calzamaglia e giubbotto neri, un paio di gambette magre che finiscono in certe zeppe alte una spanna, due manine affilate che affettano l’aria come farfalle, una bocca rossa e larga di denti candidi, una vocina sicura e squillante insomma che inchioda i presenti
- Avete visto il vecchio Archie? Papi, ma sei qui? -
Nessuno crede ai propri occhi ed orecchie, nessuno vuole pensare che cosa stia passando per la testa del vecchio Archimede la cui pelle nera sta prendendo ora i colori del peperone
- Guendalina?!?! Ma.. ma.. da dove spunti? Dove sei stata? Perchè non hai telefonato, oppure avvisato, oppure lasciato un messaggio? Perchè? -
Guendalina non sembra per nulla impressionata
- Ma ti ho lasciato un biglietto sul comodino, no? Non l’avete letto? Tu no perchè non sai leggere, ma gli altri? Non l’avete trovato? -
- Voglio sapere dove sei stata questi due giorni! -
- A casa di Jean, c’era una festa, poi ho dormito a casa sua: sono o non sono maggiorenne? Questa mattina Jean è uscito a fare non so cosa e non è più rientrato: così mi sono stufata e sono tornata a casa. Ora sono qui, sei contento? -
Dalla bocca infuriata di Archimede escono ora una serie di suoni gutturali, una sfilza di erre arrotolate, di acca e kappa così aspirate da gonfiargli i muscoli del collo, il tutto accompagnato da gestacci molto onomatopeici: lingua swili suppongo, ma piuttosto consonante a tutte le parolacce europee. Così la ragazzina sbatte la porta e se ne va, l’aria scocciata ed Archimede la segue risbattendo la porta, l’aria infuriata e noi, l’osteria, rimaniamo lì a bocca aperta e le idee confuse.
- Ma allora.. di chi è quel cadavere? -
È quasi notte fonda ormai, qualche finestra accesa da bagliori televisivi e molti buchi neri dentro i quali russa la gente del quartiere. Una fila di lumini s’infila nel prato armata di vanghe, picconi ed un tenue coraggio mantenuto in circolo da una flebo di grappa. Siamo noi, decisi ad arrivare fino in fondo alla questione.
Il tramestìo degli arnesi che rompono e frugano il terreno si confonde con il rumore del traffico, con il fruscìo delle gomme che corrono sull’asfalto, con i motori che brontolano nel silenzio della notte, con la corrente del fiume che alimenta l’alito della brezza; non c’è il minimo intralcio al compimento dell’opera.
La buca è aperta; le braccia conserte sui manici degli arnesi, le pile puntate verso il cadavere, gli occhi che non osano spingersi più in là della punta delle scarpe
- Forza, qualcuno lo deve fare! - ed Arnoldo, il fottuto barbiere, lo fa. Lo fa mettendosi carponi al bordo della buca, avvicinando la testolina pelata a quella macchia bianca e chiamando luce, più luce
- Ma questo è Andrea!! Questo è l’Andrea, quello che abita di là del prato! -
Siamo di nuovo nell’osteria, il nostro covo accogliente e sicuro. Sono tutti attorno a me. Stupiti, meravigliati.
- Andrea, Andrea, ma cosa ti è successo? -
- A me?! E cosa mi doveva succedere? Oggi è una giornata come le altre, a parte il fatto che mi sono preso una settimana di ferie.. -
- E tua moglie dov’è, perchè non avete fatto le ferie assieme? -
- Perchè, perchè.. ma cosa volete? Lo sapete come funziona per una coppia che lavora: lei ha dovuto mettersi d’accordo con le colleghe e così.. ma domani la raggiungo, mica la lascio sola! -
- Ma lei non è mica sola laggiù, sulle spiagge dell’Adriatico.. giusto? -
- Come sarebbe a dire, che cosa volete insinuare? -
- Che è partita con Alvaro. Che sono almeno due mesi che quei due escono assieme quando fai il turno di notte, ed ieri hanno caricato l’automobile di valigie e di oli solari proprio qui, nel vicolo. Tutti hanno visto. -
- Ma.. ma.. Alvaro chi? -
- Il figlio di Anselmo, il falegname -
- Ma voi siete pazzi! Anselmo di’ qualcosa.. -
- Una maledizione, questi benedetti figli sono una maledizione. L’avevo detto io.. -
- Ascolta Andrea, ma se davvero volevi raggiungere tua moglie perchè oggi saresti andato in questura a rinnovare il passaporto? Mica è espatriata! -
“Mica è espatriata”, le ultime parole comprensibili prima che le voci diventino suoni indistinti ed i volti immagini confuse. Ma i ricordi finalmente più chiari.
I litigi, le gelosie, i sospetti; poi la prova inconfutabile del tradimento. Mia moglie, inequivocabilmente, ha una relazione con un uomo che non sono io! Ed allora pianti, grida, lamenti, minacce ma soprattutto un fallimento. Il mio. E così decido di uccidermi: freddamente, lucidamente una volta tanto in questa mia vita incasinata. Veleno per topi, micidiale.
Prima del sorso fatale, un ultimo pensiero soddisfatto a quando il mio corpo verrà ritrovato riverso sul letto: lo sbalordimento prima, lo spavento poi, la disperazione infine. La mia vendetta.
Quel veleno per topi era il mio passaporto, un passaporto per l’aldilà ed invece sono qui, disteso sopra un tavolo dell’osteria; pallido, rigido, sporco, le budelle all’aria. Come mai? Come sono finito dal mio materasso a due piazze in una fetida buca del prato più squallido della città? Cerco, frugo nel torpore degli ultimi ricordi, i più difficili da risvegliare a quanto pare.
Sì, adesso metto a fuoco mia moglie che entra nella stanza, l’espressione inorridita (e meno male). Mi scuote senza una parola, mi tasta il polso, la gola (lei è infermiera) senza espressione, si attacca al telefono (tipico) senza una lacrima. Pronto Soccorso? Macchè
- Alvaro, vuoi sapere l’ultima?.. - poi sussurri suoi o la perdita di conoscenza mia, ed infine - ..no, no, ma se abbiamo prenotato sei mesi prima.. ci perdiamo anche la caparra.. no! Io non ci rinuncio, ma fatti venire un’idea, no?.. -
E me ne sto alla finestra, a guardare storto un gatto che non conosco ed a chiedermi perchè mi sono svegliato, consapevolmente suppongo, ad un’ora che mi detesta. Devo forse andare al lavoro? No, sono in ferie. Ho forse preso un impegno con qualcuno, qualcuno al quale tengo particolarmente? Neppure, tutti al mare. E allora? Ah già, devo rinnovare il passaporto.
Gli uffici della questura.. bah. Rumori: dita che battono impacciate vecchi tasti e suole di cuoio che limano pavimenti, antiquariato. Le automobili hanno i lampeggianti a specchio ma pneumatici lisci: odore di burocrazia. Chissà le domande in carta semplice e bollata per ottenere un cambio gomme.. a proposito, spero di non aver dimenticato niente: passaporto, marche da bollo..
- Scusi, l’Ufficio passaporti -
- Primo corridoio a sinistra, terza coda a destra -
La fila alle sette del mattino, alle sette del mattino! Mi arrendo all’evidenza e mi appoggio alla parete osservando ben bene la schiena di chi mi precede. Seguendo lui arriverò alla mèta senza discussioni sulle precedenze.
È un africano dall’aria spaesata e spossata, credo anche di conoscerlo di vista, o perlomeno di ricordare che abita nel vicolo dirimpetto casa mia, aldilà del praticello fetido che una vecchia zitella parente di scorpioni e scarafaggi non vuole cedere all’asfalto.
Una piccola comunità di ganesi, operai del marmo, un lavoraccio. Gente tranquilla che non fa casino a parte le marmitte dei loro trabiccoli. Direi proprio che è uno di loro e non c’è niente di strano nella sua presenza in questura perchè è il periodo in cui questa gente sta per partire per l’Africa a farci le ferie, a rivedere le madri, le sorelle e i fratelli che di solito sono una tribù intera, a riempirsi lo stomaco di pesce secco e gli occhi di tramonti. E si vede lontano un chilometro che non stanno più nella pelle per l’eccitazione quando scaricano dai loro trabiccoli sacchi di riso, scarpe, pentole, giubbini, frigoriferi. Ma come faranno a portarsi appresso tutta quella roba?
Sarebbe anche gente simpatica se non avesse quell’accento gutturale che sembra di Bergamo.
La coppia di questurini risale la fila con l’aria indolente e padrona di chi è con certezza sul territorio di competenza, mi sorpassa di appena un passo ed all’altezza dell’africano si ferma e gli sbatte un foglio sotto il naso
- Sei tu Jean e tutto il resto? -
- Sono Jean Kufour, no tuttoresto -
- Esatto, Jean tuttoresto, sei in arresto - e lo prendono sottobraccio spingendolo tranquilli nel ventre molle, nel dedalo inquietante della questura.
Cavolo, è vero che ho guadagnato un posto nella fila ma ci sono rimasto male: che sarà successo mai?
Non sono affari miei, mi incollo alla schiena successiva e prendo da tasca il quotidiano della nostra bella città.
“IL MISTERO DEL VICOLO. Scomparsa una giovane di colore: riti vodoo?”
Questa poi, a due passi da casa mia!
Il passaporto è a posto, il giornale sgualcito riposa ormai in un cestino ed io ho una intera giornata di beato nulla davanti: che fare? beh, potrei fare un salto all’osteria del vicolo, a farmi un caffè, a sentire che si dice.
Il vicolo in questione è cieco, reso angusto dalle automobili parcheggiate più che dalle facciate invecchiate delle case che lo sovrastano. C’è un’aria allegra, di solito, ma oggi è tutta un’altra storia.
Tanto per cominciare i lampeggianti della volante che rendono l’aria elettrica, poi l’osteria silenziosa. Piena di gente ma vuota di parole, incredibile.
Dietro il banco l’oste ostenta un’espressione da silenzio stampa, un’aria irritante da confidente che ti fa l’occhietto ma tiene l’acqua in bocca: gli ordini sono ordini e finchè quella volante non sgomma via..
Mi accomodo con la mia tazzina vicino ad un tavolo di briscola, mescolo ed aspetto. Fiducioso.
- Ma tienila in mano quell’asse di coppe, tienila in mano.. -
- Ma cosa tengo, o l’asso o la briscola.. -
- Ma ce l’ho io la briscola: prendo di re e torno a coppe, no? Ma perchè gioco in coppia con uno che non capisce un.. -
Il tono delle voci si è alzato e finalmente, come ad un segnale, nell’osteria si ritorna alla normalità. All’angolo del mio tavolo c’è l’Arnoldo, il barbiere. Uno strano giovane, in lotta con il mondo o forse con la natura che non l’ha dotato. È probabilmente la sua testolina perfettamente calva china sul bicchiere la causa di un mestiere intrapreso con la determinazione e la ferocia degne di un sioux: ed infatti nel quartiere tutti lo chiamano Kociss.
- Arnoldo, che ci fai al bar a quest’ora? - l’altro allarga le braccia come dire: è lunedì.
È vero, perdio, sono io che non dovrei esserci.
- Ma hai sentito di questa storia delle ragazze scomparse? Ho preso una settimana di ferie, stamattina sono andato in questura per il passaporto e lì ho saputo tutto: pensa che hanno arrestato un nero sotto i miei occhi! Davanti a me! -
Questa l’Arnoldo non se l’aspettava. Da un cliente che non ha mai fatto nè shampoo nè frizione ma, soprattutto, non parla nè di calcio nè del tempo questa non se l’aspettava.
- Cosa..? Hanno arrestato qualcuno.. e tu l’hai visto? Ma racconta, no? -
- No, non è leale. Prima voglio sapere che cosa è successo -
- Niente, non è successo niente. Nella palazzina accanto ci sono due appartamenti di ganesi, quanti sono non lo sa neppure il padrone di casa, comunque gente che lavora, eh? Ieri, domenica, tutto il gruppo è uscito per non so quale festa terzomondana e sembrava l’ultimo di carnevale: canti, richiami, vestiti dai colori sgargianti. Soltanto Guendalina se ne è voluta restare a casa. Quando sono rientrati lei non c’era più. L’hanno cercata dappertutto, hanno fatto un casino infernale ma niente. Scomparsa nel nulla. -
- Beh, ho capito, è scomparsa, ma cosa c’entrano i riti vodoo ? -
- Iiiih, si parla di africani, no? Lo sai come sono i giornali.. -
- Questi scimmioni retrogradi sono convinti che qualcuno ha fatto loro un “grigrì” e so di cosa parlo perchè ho fatto la campagna d’Africa, io! -
Il vecchio Anselmo si è seduto al nostro tavolo. Silenzioso come un fantasma, ipotesi che qualcuno ritiene fondata perchè nella sua falegnameria i vecchi macchinari sputano ogni santo giorno sacchi di segatura e lamenti di seghe rotanti ma lui, in apparenza, non c’è mai: sulla porta un perenne “torno subito”, silenzioso come un fantasma dicevo è comparso sulla sedia accanto
- ..e sapete che cos’è un “grigrì”? Una maledizione, una stregoneria e queste sono cose religiose, mica uno scherzo. Mi ricordo nel ‘36, in un’oasi del Sahara.. -
- A proposito di Sahara, ci è venuta una sete.. Arcibaldo, porta da bere - quelli della briscola evidentemente la conoscono a memoria la storia del deserto. Il pancione di Arcibaldo traballa assieme al vassoio quando la porta si apre con cautela e due occhi bianchi si affacciano spauriti nell’osteria
- Capo, posso mettere un manifestino? È la foto di Guendalina, posso attaccarla sulla porta? -
- Ma.. Archimede, certo che puoi, ma a che serve? Qui la conoscono tutti, a che serve la sua foto? -
Il vecchio africano si accascia affranto sul banco e tutti gli si fanno attorno
- Su, su Archie, non fare così, vedrai che tutto si risolverà... - parole di conforto, di commiserazione, di commozione, di compassione. Poi la curiosità prevale
- Ma la polizia cosa dice.. chi l’ha vista per ultimo.. aveva un moroso.. si faceva le canne.. siete cristiani o mussulmani.. non è che ve la siete mangiata.. -
- La polizia dice che segue tutte le piste: siamo tutti sospettati -
- Come sarebbe a dire “siamo”, “siete” sospettati! -
- No, no. Siamo. - e se ne esce, con la foto in mano.
La porta si richiude e l’osteria ripiomba nuovamente nel silenzio, di stupore questa volta.
- Ma.. ma come possono sospettare di noi? E poi, che cosa intendono per “noi”? Se intendono i clienti di questa onorata osteria non potrebbero cascare peggio: siamo o non siamo tutte persone nate e vissute qui, in questa città, siamo o non siamo uomini dalla vita specchiata, dalla fedina penale pulita? - Sandro, custode di un labirinto sotterraneo che nel medioevo era una probabile fogna della città ma che ora ostenta una pomposa insegna al neon con la scritta GARAGE, si è messo in piedi sopra una sedia e parla con un tono altamente indignato - Se non si trova un rimedio a queste frontiere colabrodo, se non si ferma quest’orda barbarica che ci sta invadendo dove andremo a finire?-
- In galera - quelli del tavolo delle carte, i soliti cinici. - In galera certo, se scoprono che è stato qualcuno di noi a fare del male alla ragazzina lo sbattono in galera. Una decisione ovvia, cosa c’entrano le frontiere e le orde barbariche? -
- E no, no! Il popolo di questa osteria è sintesi di generazioni native del posto, indigene! Noi siamo nati e vissuti qui, abbiamo respirato l’aria del fiume e mangiato il pane del forno di Aldo dalla nascita: questa è la nostra patria, chi non è dei nostri se ne vada! -
Gli sguardi della platea non sembrano particolarmente impressionati dalla concione, ciononostante puntano all’unisono verso il punto più buio della stanza. Mustafà se ne sta lì, con i tappeti ripiegati sopra il tavolo e l’aria tranquilla. La pelle olivastra ed i capelli ricci e bianchi
- Sono tanti anni che respiro l’aria del fiume e mangio il pane di Aldo. Sono anch’io un indigeno. -
E Aldo conferma, l’aria assonnata e la canottiera color farina, ma dal tavolo delle carte scatta la risata
- Ah, ah! È fuori dubbio che Alì è un vero indigeno, marocchino però: e cosa vuole, la doppia cittadinanza? Indigeno di qui e indigeno di lì! Ah, ah! -
La porta si apre con una ventata maleducata ed un giovane dal trench carico di giornali, bloch notes e telefonini si accomoda al banco
- Un caffè, per favore -
Arcibaldo lo squadra di sbieco mentre carica la macchina
- Liscio o corretto.. ma tu non sei il figlio di Maria, la sarta? Ma cosa fai qui, sei un questurino? -
- Sì, sì, sono il figlia della Maria, la conosceva? -
- Ma come la conoscevo.. tutti qui l’hanno conosciuta, vero ragazzi? - un coro unanime di assensi e consensi
- Gran donna tua madre, ma raccontaci di te. Perchè sei capitato nel vicolo proprio oggi? -
- Faccio il giornalista, sono venuto per la storia della ragazza -
- Ah, e cosa si dice di bello di questa storia? Che dicono le nostre autorità? -
- Beh, sono notizie riservate, capirete.. -
- Ma come riservate, se arrivano alle orecchie di un giornalista cosa vuoi che siano riservate?! Su, su, racconta! -
- Oddio.. che non si sappia in giro, eh? È arrivata una richiesta di riscatto -
- Riscatto? -
- Esatto. Una lettera che chiede un sacco di soldi ma, pensate, è quasi firmata! In fondo alla richiesta c’è una A e tutti pensavano che fosse una sigla anarchica, invece la A è puntata, come fosse l’iniziale di un nome, mi capite? Il nome di quello che l’ha rapita comincia per A! -
Un brivido percorre gli sguardi sbalorditi dei presenti, un brivido ed un silenzio tenace che si blocca sulle punte delle lingue finchè il giornalista non paga il caffè e non porta il trench affollato di notizie fuori, nel vicolo, al giornale.
- Hai capito.. avete capito adesso perchè il vecchio Archimede ha detto:”siamo”? -
Tutti scuotono il capo, ostinati
- Io mi chiamo Arnoldo, poi c’è Anselmo, Arcibaldo, Aldo, Alì Mustafà.. tu come ti chiami? -
Lo guardo come dire: ma che vuoi, non sono mica un abitante del vicolo, io!
- Beh, mi chiamo Andrea.. -
Il garagista si dimena sulla sedia
- Non è che voglio battere il tasto sulla questione, ma anche il padre della ragazza si chiama Archimede. Archimede, mi spiego? Non è che voglia difendere voi indigeni a tutti i costi ma.. -
- Scusa indigeno delle fogne ma non è che Sandro, per caso, sta per Alessandro? E poi, che interesse dovrebbe avere il padre della ragazza a chiedere un riscatto.. che dovrebbe pagare lui stesso? -
Adesso sono io ad alzarmi ed a prendere in pugno la situazione
- Ma insomma, gente, la storia del riscatto non sta in piedi: io non conosco quella gente, ma il giornalista ha parlato di una richiesta di un sacco di soldi. Ora, secondo voi, quanto potrebbero sborsare questi ganesi per riavere la ragazza? Secondo me poco, ma proprio poco!-
Un sospiro di sollievo si diffonde tra le boccate dense di emmesse - Ma certo che diavolo, quella lettera è una bufala. Chi volete che possa chiedere un riscatto a quei poveracci? -
- È chiaro che è così, però questo signor A. è evidentemente uno sciacallo, qualcuno che approfitta del dolore di quella gente perciò vi dico: noi dobbiamo fare qualcosa perchè nessuno, e sottolineo nessuno, possa pensare che chiunque di noi possa aver fatto qualcosa del genere! -
- Ma noi, che possiamo fare? -
- Risolvere il caso, arrivare alla soluzione, trovare il colpevole e prima che finisca nelle mani della giustizia giudicarlo e condannarlo qui, nell’osteria, nel cuore della città! -
Che strana giornata. Il tempo mi è sfuggito di mano, come si converrebbe ad una vera giornata di ferie per la verità, ma quello che è successo mi ha spinto in una dimensione eccitante e tenebrosa, molto ma molto più interessante di un bagnetto nel caldo brodo del mare Adriatico. Nel bar le discussioni e le ipotesi, le liti ed i vaffa si sono sprecati ma ora mi ritrovo finalmente nella calma penombra della mia stanza. A ripensare a questa storia.
Punto primo, la richiesta di riscatto è fasulla, ma dimostra che nel vicolo o dintorni si annida un vero serpente; punto secondo, nella concitazione abbiamo dimenticato l’arresto al quale ho assistito ma, per la verità, non ho nessuna certezza che fosse legato al rapimento della ragazza; punto terzo, sono curioso di verificare se le forze unite dell’osteria, con il loro patrimonio di pettegolezzi, calunnie e sottintesi, sapranno battere sul tempo le forze di polizia.
Mi affaccio alla finestra rivolta verso il vicolo, a guardarlo, a scrutarlo ben bene, a chiedergli di lasciar trapelare uno spiraglio dalle facciate scrostate; nel prato, intanto, il gatto è sempre lì al solito posto; assieme ad un corvo ed un paio di merli. Che diavolo stanno facendo? È una faccenda strana, forse insignificante ma ormai la scintilla del sospetto è scattata in me. Così mi infilo un paio di stivaletti da orto e scendo giù, nel prato.
Filo, spinato e arrugginito, rovi, resti organici ed inorganici, topi morti e ratti vivi: se nel Vietnam gli americani facevano uso di napalm, forse, non avevano in dotazione stivaletti come i miei.
Tra le ortiche e la gramigna il gatto tiene gli occhi semichiusi e la pancia gonfia all’aria, e rivolti al cielo sono pure i becchi gialli degli uccelli neri. Che schifo.
In mezzo a loro c’è una buca rossastra, nella terra smossa una lattigine verdastra, budella forse. Che schifo. I miei stivaletti prendono il volo, corrono veloci verso il vicolo, s’infilano nell’osteria. Finalmente dentro il bagno, vomito.
Finalmente esco, un ritorno alla vita. Mi aspetto di trovare tutta l’osteria fuori della porta del bagno a chiedermi come sto, che cosa è successo, perchè sono così pallido e sudato; nulla di tutto ciò. Solo le voci del tavolo delle carte, solo i problemi di un asso di coppe.
- Arcibaldo ascolta, c’è un problema.. - l’oste si avvicina circospetto, forse per via dell’abitudine piuttosto diffusa tra gli abitanti della zona a chiedere prestiti - Arcibaldo, ho trovato un cadavere.. l’ho visto, sangue e budella.. che schifo! -
- Cosa?! Ma dove, come, di cosa stai parlando? -
- ..nel prato, quella cosa è nel prato.. -
E quella che sembrava a me bieca indifferenza si è trasformata come d’incanto nell’alito ansimante ed ansioso dei presenti che mi soffia sul collo. E quando parlo di alito intendo proprio usi e costumi alimentari delle famiglie del vicolo, in particolare dell’ultimo pranzo.
Il sole è ormai al tramonto, le finestre dei dintorni mandano bagliori neutri da tubo catodico: nessuna donna che stende i panni, nessuna madre che chiama a casa i figli, nessun padre stanco che assapora il fumo della sigaretta al balcone, neanche una nonna che cerca il gatto. Una nebbiolina di calore avvolge il gruppo dell’osteria che circonda circospetto il buco rossastro, gli animali ormai gonfi sull’erba umida
- ‘azzo, è proprio vero! - poi silenzio, tutti ammutoliti.
È l’Arnoldo a rompere gli indugi
- Che.. che sia Guendalina? E chi altrimenti? Bisogna chiamare la polizia, subito! -
- No, no, calma.. non ci siamo forse impegnati a risolvere noi, l’osteria, questo caso? Se.. se chiamate la polizia.. pensateci.. le nostre iniziali cominciano tutte per A, ricordate?, se adesso risultasse che oltre a questa coincidenza siamo noi, proprio noi a scoprire il cadavere.. non è meglio prendere tempo, riflettere? - L’Arcibaldo dimostra di avere anche cervello, oltre alla trippa.
Il garagista approva con fermezza e spirito concreto
- Certo, hai ragione. In garage ho una lastra di ferro: buttiamo queste bestiacce tra i cespugli e copriamo il cadavere. Quando avremo deciso qualcosa avviseremo la polizia. -
Nessuno discute. Veloci e organizzati come un plotone di fanteria ci sbarazziamo dei corpi degli animali e ricopriamo il buco. Poi tutti all’osteria, il nostro rifugio, il nostro covo.
- ..ma è evidente, se quelle bestie sono morte cibandosi della carne di quel cadavere, significa che Guendalina è stata avvelenata! -
Sì, non ci sono altre spiegazioni. Qualcuno ha avvelenato la ragazza ed ha sepolto il corpo nel prato. Che triste fine. Ormai la questione ha preso una piega troppo grande per noi, per le nostre chiacchere da osteria: non rimane che mettere tutto in mani più esperte .
- Gente, secondo me è meglio chiamare la polizia. Una cosa è fare i boy scout per aiutare quegli africani, un’altra è un omicidio! O vogliamo finire nei guai? -
L’Arnoldo scuote il capo, dubbioso
- Forse ha ragione Andrea, o forse no perchè occultando quella buca ci siamo già messi nelle rogne.. però da soli non ce la faremo mai a scoprire il colpevole: e se facessimo finta di niente, se ce ne fregassimo? -
Alì ha un sussulto, rovescia la sedia ed i tappetti a terra e sale sulla panca
- Ma come?! Ma che razza di persone siete? Ah già, indigeni.. ma in quel buco c’è una persona, l’avete dimenticato? Finchè si trattava di giocare a guardie e ladri eravate tutti contenti, tanto era soltanto una ragazzina nera: adesso che è finita un palmo sottoterra ve la fate tutti addosso! Non è giusto e se non facciamo qualcosa io spiffero tutto a chi di dovere! -
Ben detto, vecchio Alì.
- Un “grigrì”, una maledizione, non ve l’avevo detto? Ecco cos’è questa storia, una maledizione che si ritorce contro di noi! Alla larga! -
- E piantala Anselmo con questa menata. Secondo me dobbiamo avvisare il padre della ragazza, il vecchio Archimede, poi penserà lui al da farsi. Non possiamo fregarcene e non possiamo nemmeno prendere lezioni da un marocchino, parola di Kociss -
Archimede si affaccia alla porta con i soliti occhi spalancati, sorpreso, incerto. E la sua incertezza rischia di aumentare, diventare paura davanti al silenzio di tutti noi. Già, nessuno ha deciso chi gli dovrà dare la notizia e allora mi faccio avanti io
- Senta signor Archimede.. noi..-
- Sapete qualcosa di Guendalina? Ero a metà della cena, perchè mi avete chiamato qui? -
- Beh, vede, non è facile.. sapesse, laggiù, nel prato.. -
Non so come dirlo, non so da che parte cominciare e, soprattutto, come finire ma, proprio in quel momento la porta si apre improvvisa e due occhi bianchi, una faccetta nera incorniciata da treccine colorate, una figurina smilza in calzamaglia e giubbotto neri, un paio di gambette magre che finiscono in certe zeppe alte una spanna, due manine affilate che affettano l’aria come farfalle, una bocca rossa e larga di denti candidi, una vocina sicura e squillante insomma che inchioda i presenti
- Avete visto il vecchio Archie? Papi, ma sei qui? -
Nessuno crede ai propri occhi ed orecchie, nessuno vuole pensare che cosa stia passando per la testa del vecchio Archimede la cui pelle nera sta prendendo ora i colori del peperone
- Guendalina?!?! Ma.. ma.. da dove spunti? Dove sei stata? Perchè non hai telefonato, oppure avvisato, oppure lasciato un messaggio? Perchè? -
Guendalina non sembra per nulla impressionata
- Ma ti ho lasciato un biglietto sul comodino, no? Non l’avete letto? Tu no perchè non sai leggere, ma gli altri? Non l’avete trovato? -
- Voglio sapere dove sei stata questi due giorni! -
- A casa di Jean, c’era una festa, poi ho dormito a casa sua: sono o non sono maggiorenne? Questa mattina Jean è uscito a fare non so cosa e non è più rientrato: così mi sono stufata e sono tornata a casa. Ora sono qui, sei contento? -
Dalla bocca infuriata di Archimede escono ora una serie di suoni gutturali, una sfilza di erre arrotolate, di acca e kappa così aspirate da gonfiargli i muscoli del collo, il tutto accompagnato da gestacci molto onomatopeici: lingua swili suppongo, ma piuttosto consonante a tutte le parolacce europee. Così la ragazzina sbatte la porta e se ne va, l’aria scocciata ed Archimede la segue risbattendo la porta, l’aria infuriata e noi, l’osteria, rimaniamo lì a bocca aperta e le idee confuse.
- Ma allora.. di chi è quel cadavere? -
È quasi notte fonda ormai, qualche finestra accesa da bagliori televisivi e molti buchi neri dentro i quali russa la gente del quartiere. Una fila di lumini s’infila nel prato armata di vanghe, picconi ed un tenue coraggio mantenuto in circolo da una flebo di grappa. Siamo noi, decisi ad arrivare fino in fondo alla questione.
Il tramestìo degli arnesi che rompono e frugano il terreno si confonde con il rumore del traffico, con il fruscìo delle gomme che corrono sull’asfalto, con i motori che brontolano nel silenzio della notte, con la corrente del fiume che alimenta l’alito della brezza; non c’è il minimo intralcio al compimento dell’opera.
La buca è aperta; le braccia conserte sui manici degli arnesi, le pile puntate verso il cadavere, gli occhi che non osano spingersi più in là della punta delle scarpe
- Forza, qualcuno lo deve fare! - ed Arnoldo, il fottuto barbiere, lo fa. Lo fa mettendosi carponi al bordo della buca, avvicinando la testolina pelata a quella macchia bianca e chiamando luce, più luce
- Ma questo è Andrea!! Questo è l’Andrea, quello che abita di là del prato! -
Siamo di nuovo nell’osteria, il nostro covo accogliente e sicuro. Sono tutti attorno a me. Stupiti, meravigliati.
- Andrea, Andrea, ma cosa ti è successo? -
- A me?! E cosa mi doveva succedere? Oggi è una giornata come le altre, a parte il fatto che mi sono preso una settimana di ferie.. -
- E tua moglie dov’è, perchè non avete fatto le ferie assieme? -
- Perchè, perchè.. ma cosa volete? Lo sapete come funziona per una coppia che lavora: lei ha dovuto mettersi d’accordo con le colleghe e così.. ma domani la raggiungo, mica la lascio sola! -
- Ma lei non è mica sola laggiù, sulle spiagge dell’Adriatico.. giusto? -
- Come sarebbe a dire, che cosa volete insinuare? -
- Che è partita con Alvaro. Che sono almeno due mesi che quei due escono assieme quando fai il turno di notte, ed ieri hanno caricato l’automobile di valigie e di oli solari proprio qui, nel vicolo. Tutti hanno visto. -
- Ma.. ma.. Alvaro chi? -
- Il figlio di Anselmo, il falegname -
- Ma voi siete pazzi! Anselmo di’ qualcosa.. -
- Una maledizione, questi benedetti figli sono una maledizione. L’avevo detto io.. -
- Ascolta Andrea, ma se davvero volevi raggiungere tua moglie perchè oggi saresti andato in questura a rinnovare il passaporto? Mica è espatriata! -
“Mica è espatriata”, le ultime parole comprensibili prima che le voci diventino suoni indistinti ed i volti immagini confuse. Ma i ricordi finalmente più chiari.
I litigi, le gelosie, i sospetti; poi la prova inconfutabile del tradimento. Mia moglie, inequivocabilmente, ha una relazione con un uomo che non sono io! Ed allora pianti, grida, lamenti, minacce ma soprattutto un fallimento. Il mio. E così decido di uccidermi: freddamente, lucidamente una volta tanto in questa mia vita incasinata. Veleno per topi, micidiale.
Prima del sorso fatale, un ultimo pensiero soddisfatto a quando il mio corpo verrà ritrovato riverso sul letto: lo sbalordimento prima, lo spavento poi, la disperazione infine. La mia vendetta.
Quel veleno per topi era il mio passaporto, un passaporto per l’aldilà ed invece sono qui, disteso sopra un tavolo dell’osteria; pallido, rigido, sporco, le budelle all’aria. Come mai? Come sono finito dal mio materasso a due piazze in una fetida buca del prato più squallido della città? Cerco, frugo nel torpore degli ultimi ricordi, i più difficili da risvegliare a quanto pare.
Sì, adesso metto a fuoco mia moglie che entra nella stanza, l’espressione inorridita (e meno male). Mi scuote senza una parola, mi tasta il polso, la gola (lei è infermiera) senza espressione, si attacca al telefono (tipico) senza una lacrima. Pronto Soccorso? Macchè
- Alvaro, vuoi sapere l’ultima?.. - poi sussurri suoi o la perdita di conoscenza mia, ed infine - ..no, no, ma se abbiamo prenotato sei mesi prima.. ci perdiamo anche la caparra.. no! Io non ci rinuncio, ma fatti venire un’idea, no?.. -
1 commento:
La musica è OK, come anche il racconto.
Ciao
Luciano
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